Speciale Alopecia Areata 2
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Speciale Alopecia Areata 2

Speciale
ALOPECIA AREATA
 

 

Dott. Andrea Marliani
specialista in Clinica dermatologica
specialista in Endocrinologia
presidente Fondatore della Società Italiana di Tricologia
docente presso la Scuola Internazionale di Medicina Estetica FIF
 

 

 

La “storia” dell’alopecia areata; storia profondamente legata a quella della medicina e in particolare al nascere della dermatologia quale arte coltivata da medici e non (già da allora!), nel tentativo di carpire, intuire, attraverso gli sfoghi della pelle, le tribolazioni degli umori interni di ciascun individuo. Medici, addirittura specializzati in “malattie della testa” (indicati dai Greci come iatroi kefalés) sono segnalati già nell’antico Egitto. A Tee sono stati scoperti papiri medici risalenti al 1550 a.C. nei quali vengono descritte malattie della pelle identificabili con sufficiente attendibilità e fra queste si descrive già l’alopecia areata. Il primo ad adoperare il termine “alopecia” fu il grande Ippocrate, nato a Coo intorno al 450 a.C. A lui, peraltro, si deve gran parte della terminologia dermatologica tuttora adottata (ectima, lichen, psoriasi, esantemi ecc…). Conoscitore dell’opera di Ippocrate, e suo degno successore, fu Aulo Cornelio Celso, che prestava la sua opera di medico a Roma negli anni a cavallo della nascita di Cristo. Celso fu autore di un trattato, il “De Re Medica”, di capitale importanza per la medicina in generale e per la dermatologia in particolare, nei cui libri IV e V viene descritta l’alopecia areata, nella varietà ofiasica, e viene già distinta dal defluvio. Seguì una battuta d’arresto poiché la medicina del Medio Evo non conobbe l’opera di Celso. Bisogna arrivare al Rinascimento per ritrovare le tracce dell’alopecia areata o area di Celso, come veniva chiamata all’epoca. Fu Nicolò V, Papa dal 1471 al 1484, a riscoprire e divulgare il “De Re Medica”. In quegli anni un famoso dermatologo di Ferrara, tale Giovanni Mainardi, cultore in special modo delle malattie del cuoio capelluto, tenne a sottolineare la differenza tra l’area celsi, vera malattia, e l’alopecia “volgare” (la nostra alopecia androgenetica) nella quale i capelli cadono, scrisse il Mainardi, probabilmente per scarsità di “umori”. A metà del 1600 nasce il microscopio e Marcello Malpighi fu il primo a studiare la pelle con questo nuovo strumento. Negli anni successivi egli e altri cercarono di carpire il segreto delle malattie dermatologiche analizzando capelli, squame, forfore. Nel 1840 si verifica in Francia una epidemia scolastica di perdita di capelli a chiazze. La malattia venne descritta dal dermatologo Cazenave che la chiamò: “herpes tonsurans capillitii”. Fu David Gruby, ungherese, di stanza a Parigi e fanatico microscopista, a descrivere le spore di un fungo (il microsporum) in questa particolare forma di alopecia. Si trattava di una epidemia di tigna microsporica (cioè di un’ infezione provocata da un fungo, il microsporum appunto, che si manifesta con perdita di capelli a grandi chiazze circolari), ancora sconosciuta in Europa e verosimilmente importata dalle colonie francesi del sud-est asiatico dove la malattia era endemica (cioè presente e conosciuta da tempo) dai figli degli amministratori e dei diplomatici. Cosa c’entra l’alopecia areata in tutto ciò? Nel descrivere il fungo, il Gruby, con una frase infelice, collegò l’epidemia di herpes tonsurans con “una certa varietà decalvante detta area di Celso”. Ancora nei primi anni del 1800 l’alopecia areata stenta ad avere una ben precisa collocazione. Nel “Trattato compiuto delle malattie della pelle”, scritto dal Barone Alibert (allora medico in capo del parigino ospedale di San Luigi) e tradotto in italiano nel 1835, si fa cenno all’alopecia areata nel capitolo delle dermatosi tignose, cioè: “di quelle eruzioni aventi per special sede il derma capelluto” con riferimento alle porrigini, cioè alle infiammazioni del cuoio capelluto con o senza perdita di capelli. La varietà con perdita di capelli prende il nome di porrigo tonsoria o decalvante. Nel descrivere questa forma, l’autore crea una certa confusione poiché da un lato sottolinea la presenza di numerosi casi negli ospizi e in molti collegi di Parigi (la famosa epidemia di tigna microsporica) e aggiunge che forse Celso abbia voluto comprendere queste (le porrigini tonsorie) in un genere da esso creato col nome di area. Dall’altra lo stesso Alibert, nel descrivere l’area celsi, paragona il cuoio capelluto dei pazienti a terreni sterili simili alle lande (pianura prevalentemente sabbiosa con scarsa vegetazione) dove non può crescere nulla, conseguenza di qualche malattia linfatica o l’effetto di una certa nutrizione anormale. E’ necessario sottolineare, d’altro canto, che, a quell’epoca, la spinta all’osservazione microscopica porta tutti a trovare, a torto o a ragione, funghi dappertutto e non solo nell’alopecia areata. Il fungo considerato causa, a torto, dell’alopecia areata non è altro che il Pityrosporum, agente causale della pitiriasi versicolore. Ma affinché si chiarisca tutto ciò è necessario arrivare ai primi anni del 1900. Il fatto di aver dimostrato in modo inequivocabile la natura non infettiva della malattia non apporta certo elementi di chiarimento. In tutti i trattati di dermatologia degli anni 40 e 50 si fa riferimento, in tema di patogenesi, ad un ipotetico spasmo (restringimento) dei vasi sanguigni nelle zone colpite dalla perdita dei capelli, associato a fattori generali quali disfunzioni della tiroide o dell’ipofisi o delle ghiandole genitali o del timo. Secondo un illustre dermatologo dell’epoca un buon numero di casi, specialmente quelli più gravi, potevano essere la risultante di una pregressa sifilide congenita. Negli anni 60 le conoscenze in campo immunologico ci offrono una nuova e più circostanziata chiave di lettura di tante malattie, alopecia areata compresa, ma questa è un’altra storia …
L’alopecia areata è molto frequente, ha spesso remissione spontanea ed è caratterizzata dalla improvvisa comparsa di chiazze prive di peli, di forma per lo più rotondeggiante, di numero e di dimensioni variabili. Non mostra particolare predilezione di sesso e colpisce soprattutto soggetti di razza caucasica ed orientale. L’alopecia areata può esordire a qualsiasi età, ma sembra più frequente nell’infanzia e nella adolescenza, comune nell’età adulta e rara nell’anziano.

L’eziologia della malattia è ancora ignota. Esiste indubbiamente una predisposizione genetica familiare e nei gemelli monozigoti si presenta solitamente alla stessa età e con gli stessi aspetti clinici.
E’ stata sottolineata la alta frequenza di antigeni del sistema maggiore di istocompatibilità, HLA-DR4 e HLA-DR5 in pazienti affetti da alopecia areata (Orecchia G.). Il sottotipo DPW4 sembra rappresentare il substrato genetico per una maggiore suscettibilità ad ammalarsi di forme gravi.
Il ruolo svolto da fattori emotivi e caratteriali è ancora discusso. e molti pazienti presentano sicuramente tratti nevrotici della personalità di gravità variabile. La nostra personale esperienza ci fa affermare che questi pazienti hanno spesso disturbi del sonno e comunque dormono molto poco, anche se talvolta sono restii ad ammetterlo. L’alopecia areata è comune in chi lavora la notte come i guardiani notturni e i disc jockey ed è comunissima in chi per lavoro altera continuamente il ritmo giorno-notte, luce-buio, sonno-veglia come i turnisti in terza o in quinta; tanto che, a nostro parere, potrebbe configurarsi come malattia professionale.
Negli ultimi decenni numerosi dati clinici e sperimentali hanno mostrato la sensibilità del sistema immunitario nei confronti di eventi emozionali e stressanti e la possibilità che questi possano influenzare sia l’immunità cellulomediata che anticorpomediata.

E’ difficile capire perché l’alopecia è areata! Il follicolo è tanto più suscettibile ad una noxa patogena quanto maggiore è la sua attività mitotica. L’evento patogeno che provoca la caduta di capelli nella alopecia areata colpisce solo i follicoli in anagen, che è la fase più vulnerabile del ciclo.
Nella alopecia areata si osserva che i follicoli colpiti mantengono l’attività ciclica senza però riuscire a completare la loro fase di crescita (Messenger A.G.). Si è ipotizzato che l’alopecia areata colpisca solo i follicoli che si trovano simultaneamente in quella sottofase dell’anagen con la più alta attività mitotica. La distribuzione topografica dei follicoli in questa fase, al momento dell’evento patogeno, condizionerebbe la forma della chiazza (Rebora A.).
Questa ipotesi è suffragata dal riscontro clinico che l’alopecia areata è rara nei pazienti con alopecia androgenetica, nei quali l’anagen è di breve durata ed il ciclo follicolare accelerato.

Oggi si è propensi a ritenere che l’alopecia areata sia fondamentalmente una malattia autoimmune a patogenesi autoanticorpale e cellulomediata.
A sostegno di questa ipotesi, si citano numerosi dati:

1) l’alopecia areata non è una malattia strettamente limitata al follicolo pilifero;
2) i pazienti con alopecia areata hanno spesso autoanticorpi circolanti;
3) i reperti istologici mostrano la presenza di un infiltrato infiammatorio linfocitario di aspetto “aggressivo” verso i follicoli affetti dalla malattia;
4) è descritta l’associazione dell’alopecia areata con tutte le patologie autoimmuni.

Le malattie associate a patogenesi autoimmune che più frequentemente si accompagnano alla alopecia areata sono: la tiroidite di Hashimoto, la vitiligine, il diabete mellito di tipo I°, il morbo di Haddison, l’anemia emolitica autoimmune, la gastrite cronica atrofica.
I pazienti con alopecia areata presentano spesso alterazioni dell’immunità umorale con presenza di autoanticorpi circolanti organo e non organo specifici, in particolare antimuscolo liscio, nel 40% dei casi (Tosti A.).
Studi di immunofluorescenza diretta hanno dimostrato la presenza di depositi granulari di C3, in minore misura IgG e IgM, lungo la membrana basale della porzione inferiore dei follicoli piliferi di molti pazienti: questi depositi sono più facilmente osservabili al bordo delle chiazze. Depositi simili, interessanti però soprattutto la parte infundibolare, sono però dimostrabili anche in pazienti affetti da defluvio androgenetico e pertanto rimane dubbio se siano veramente espressione di una azione lesiva verso il follicolo o solo un epifenomeno della normale regolazione del ciclo follicolare (Bystryn J-C.).

Lo studio della immunità cellulomediata nei pazienti con alopecia areata mostra variazioni sia del numero totale dei T linfociti che delle sottopopolazioni linfocitarie nel sangue periferico.
L’infiltrato peribulbare è costituito quasi esclusivamente da T linfociti con un aumento del rapporto T helper/T suppressor. Il rapporto Th/Ts è particolarmente alto nelle fasi di attività della malattia.
La composizione dell’infiltrato si modifica nelle chiazze che non sono più in fase di attività o che rispondono alla terapia (Orkin M.). Molti linfociti T dell’infiltrato sono attivati ed esprimono gli antigeni DR.
E’ quindi plausibile che i linfociti attivati possano “aggredire” i cheratinociti della matrice del bulbo innescando il processo patologico.
I linfociti T attivati hanno capacità di rilasciare linfochine come: interferone gamma, fattore alfa di necrosi tumorale, transforming growth beta factor. Queste linfochine, che inibiscono la proliferazione dei cheratinociti in vitro, potrebbero in vivo agire sulle cellule della matrice arrestando le mitosi (Baadsgaard O.).

Un quesito tuttora irrisolto è quale sia, a livello follicolare, la cellula target della malattia.
Alcuni autori ritengono che la noxa colpisca primitivamente i cheratinociti della matrice che danno origine alla corteccia del pelo (Messenger A.G.).
Altri autori ritengono possibile un ruolo dei melanociti. Questa ipotesi spiegherebbe la maggiore resistenza alla malattia dei peli bianchi. I melanociti sono presenti a livello della matrice del pelo solo durante la fase anagen, scompaiono quando il follicolo entra in catagen, rimangono assenti durante tutto il telogen e diventano nuovamente evidenti solo alla ripresa dell’attività follicolare in coincidenza con l’anagen 4°. E’ ipotizzabile un “dialogo” paracrino fra cheratinociti e melanociti, la cui funzionalità verrebbe vicendevolmente attivata. Questo aiuta anche a capire perchè i peli ricrescono bianchi all’inizio della fare di risoluzione della alopecia areata (Messenger A.G.).
Alcuni autori ritengono che le cellule endoteliali del plesso vascolare possano essere primitivamente colpite dal processo autoimmune (Nickoloff B.J.) che determina la malattia con passaggio dei leucociti mononucleati dai vasi agli spazi perivasali.
L’ipotesi che l’alopecia areata sia una condizione che colpisce primitivamente la papilla dermica è invece suggerita dal riscontro di alterazioni nei proteoglicani della matrice extracellulare della papilla nei follicoli colpiti (Mc Donagh A.J.G.).
Personalmente riteniamo che il target della malattia possa essere il cheratinocita o una proteina della guaina epiteliale interna e che il danno primitivo da cui origina l’alopecia areata possa essere di natura metabolica. Solo successivamente, per la presentazione di antigeni prima coperti, si innescherebbe il fenomeno autoimmune cellulomediato che determinerebbe la cronicizzare la malattia. Questa ipotesi ci permette di comprendere come una alopecia areata possa svilupparsi in poche ore, fatto non conciliabile, a nostro parere, con una stretta patogenesi autoimmunitaria. I capelli (o i peli) colpiti dalla malattia, dopo la distruzione del sistema di ancoraggio delle guaine, cadono sia in anagen che in catagen pare cioè che i capelli tentino, senza riuscirci, di “rifugiarsi in telogen”, stadio i cui la noxa patogena all’origine della malattia non può più colpirli. Questo è in accordo con le osservazioni istologiche che mostrano un netto aumento della quota dei capelli catagen al bordo di espansione di una alopecia areata. L’autoimmunità entrerebbe in gioco successivamente, nella cronicizzazione della malattia. Se questo non avviene abbiamo un telogen effluvio.

L’esordio della alopecia areata è caratteristicamente acuto e questo fatto è, come già detto, in contrasto con l’ipotesi di una patogenesi autoimmune “pura” della malattia.

Il paziente, o spesso chi gli vive vicino o il parrucchiere, si accorge della comparsa di una o più chiazze tipicamente “areate”, completamente prive di peli, circolari o ovalari. La cute non presenta alterazioni ma talvolta può apparire leggermente depressa, simil atrofica, oppure, al contrario, edematosa e leggermente eritematosa.
Le chiazze di alopecia areata possono interessare qualsiasi zona del corpo ma sono più frequenti al cuoio capelluto ed alla barba, zone più coinvolgenti emotivamente.

Seppure raramente la alopecia areata può interessare solo le ciglia, le sopracciglia ed il pube, zone cioè con anagen di breve durata e catagen/telogen relativamente lungo. Sul cuoio capelluto la zona più colpita sembra essere quella parietale. Quando la malattia si localizza in zona temporo-occipitale si parla di ofiasi.
In base alla localizzazione ed all’estensione si suole distinguere una alopecia in chiazze singole o multiple, una alopecia totale che coinvolge tutto il cuoio capelluto, una alopecia universale che interessa tutti i peli del corpo.
Ai margini delle chiazze in fase attiva si notano i “peli a coda di topo”: sono peli corti, tronchi a circa 3 mm dall’ostio follicolare, con diametro e colore che si riducono progressivamente in senso prossimale, destinati a cadere in 1 – 2 settimane; questi stessi una volta estratti, per la loro tipica forma, vengono detti “a punto esclamativo”: si tratta di elementi anagen distrofici o catagen, risultati da una alterazione transitoria del processo di cheratinizzazione e sono patognomonici della alopecia areata.
Tipico anche il “pelo cadaverizzato” che appare come un punto nero sulla cute alopecica. Si tratta di un pelo che non supera l’ostio follicolare. Quando la malattia è in fase di risoluzione sono visibili, nelle chiazze, gli osti follicolari aperti.
I capelli bianchi sono più resistenti al trauma alopecizzante ed alla malattia. Quando questa ha un esordio acuto in soggetti con capelli brizzolati, talvolta il paziente si ritrova con i soli capelli bianchi. La relazione fra colore dei capelli ed alopecia areata è evidenziata anche dalla predilezione della malattia per i soggetti con capelli scuri e dal fatto che quando i capelli ricrescono sono spesso bianchi o comunque di un colore più chiaro di quello originario. Talvolta una ciocca bianca può persistere per anni dopo la guarigione.

Non sempre però la malattia si presenta, in maniera tipica, ma può esordire con un effluvio acuto, alopecia areata incognita, e può porre problemi differenziali con un telogen effluvio. La presenza di capelli in catagen o in anagen distrofico all’esame attento o al controllo microscopico dirime i dubbi diagnostici.
La alopecia areata si accompagna soventemente anche ad alterazioni ungueali, a dimostrazione che la noxa patogena che colpisce i peli colpisce anche le unghie, ma queste non appaiono correlate con la gravità e con la prognosi della malattia di base.

I danni ungueali possono presentarsi in vario modo: il pitting è l’alterazione più comune, si tratta di depressioni cupuliformi disposte “a ditale da cucito” in modo geometrico. Talvolta si osservano anche linee di Beau, probabilmente in relazione ad una noxa patogena più forte che ha agito in uno spazio di tempo più ristretto. In un numero limitato di pazienti, valutato intorno al 3%, l’alopecia areata si associa ad onicopatia grave che coinvolge tutte le venti unghie “twenty nail distrophy” o “trachionichia” (tracus = ruvido).
Nella trachionichia la lamina ungueale assume un aspetto simile a quello di una superficie trattata con la carta vetrata. La trachionichia è più frequente nei bambini ed il suo esordio può precedere o seguire quello della alopecia areata anche di anni ed il suo decorso non appare necessariamente legato a quello della alopecia areata. La trachionichia ha comunque andamento benigno e tende ad una lenta regressione spontanea nel giro di qualche anno.

Il decorso della alopecia areata è imprevedibile. Nella maggior parte dei pazienti e nelle forme a chiazze i peli ricrescono spontaneamente, ma il decorso della affezione è capriccioso, tipicamente recidivante e le recidive sono più gravi dell’episodio iniziale. Spesso, mentre i capelli ricrescono in una chiazza altre chiazze si aprono in altre sedi.
Effettuando una trazione con le dita su ciuffi di capelli (pull test) ai bordi di una chiazza attiva e “contando” il numero dei capelli estratti si può avere un’ idea della evoluzione della malattia, quando il numero di capelli che si estraggono è elevato (5 – 15 ed oltre) è verosimile che la chiazza stia ingrandendosi. Se il test è positivo su tutto il cuoio capelluto è prevedibile che il paziente svilupperà una forma severa di alopecia areata.
La alopecia areata si associa spesso a sindromi malformative o disordini immunitari. Nei pazienti atopici l’alopecia areata spesso esordisce nei primi anni di vita, ha un decorso molto lungo, con molte ricadute e può evolvere verso le forme più gravi.
La sindrome di Down si associa con alta frequenza alla alopecia areata che in questi pazienti assume un andamento cronico con scarsa risposta alla terapia. I pazienti con sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada, caratterizzata da uveite, ipoacusia, manifestazioni neurologiche e vitiligine, presentano spesso anche una alopecia areata. Questa sindrome potrebbe essere espressione di un interessamento polidistrettuale dei melanociti, che oltre che a livello dell’epidermide e dei follicoli sono presenti anche a livello dell’uvea, dell’orecchio interno e delle meningi. Alcuni studi hanno dimostrato che i pazienti alopecici presentano alterazioni a carico del cristallino, del fundus ed anomalie morfologiche funzionali dell’epitelio pigmentato retinico. Alcuni autori hanno descritto anomalie gonadiche ed anticorpi antigonadi a titolo significativo in pazienti giovani con alopecia areata.

La diagnosi di alopecia areata nelle sue forme tipiche non presenta difficoltà. Talvolta però la malattia può presentarsi clinicamente con aspetti difficili e “mascherati”.
Come già abbiamo accennato l’alopecia areata può esordire con un quadro senza chiazze alopeciche ma simile al “telogen effluvium” e si parla in questi casi di “alopecia areata incognita”. Un esame microscopico dei capelli che cadono mostrerà che nella alopecia areata la maggior parte degli elementi che cadono sono catagen o anagen distrofici assottigliati nella loro porzione prossimale (a punto esclamativo), nel telogen effluvio sono telogen maturi.
Di fronte a una chiazza alopecica localizzata a livello fronto-temporale bisogna tenere presente la “alopecia triangolare congenita”, così di fronte a una chiazza del vertice bisogna conoscere la “aplasia cutis verticis” che tuttavia si differenziano per l’assenza di peli a coda di topo (o a punto esclamativo) e per il dato anamnestico della presenza della chiazza fin dalla nascita.
Le chiazze di lunga durata possono porre problemi differenziali con le alopecie cicatriziali nella fase di remissione, con il LED, il lichen ruber planus, con la pseudoarea di Brocq, con le cicatrici. Tutte queste condizioni hanno comunque un aspetto francamente più atrofico.
Talvolta difficile ed importante è la diagnosi differenziale con le alopecie metastatiche specialmente da carcinomi mammari, che al tatto sono però più dure ed aderenti.
L’eritema cronico migrante è molto simile, nelle sua fase di estensione, alla alopecia areata ma al centro della chiazza è comunemente visibile la necrosi cutanea dovuta alla pinzatura di zecca.
La tricotillomania si distingue per l’aspetto spesso bizzarro delle chiazze, la presenza di peli spezzati e di colpi d’unghia.

La prognosi della alopecia areata è difficile e variabile da soggetto a soggetto. Si può affermare che è in relazione all’età di insorgenza, alla familiarità, alla superficie coinvolta, alla durata, alla presenza di atopia e di altre malattie autoimmuni, alla risposta a precedenti trattamenti.
La guarigione delle forme a chiazze è generalmente sicura e spontanea. La prognosi peggiore è legata alle forme totali, universali, all’ofiasi ma la guarigione spontanea è comunque sempre possibile.

Ancora oggi può essere considerata valida, soprattutto dal punto di vista prognostico, la classificazione di che divide l’alopecia areata in quattro tipi:
tipo comune, molto frequente, tipico della tarda adolescenza o dei primi anni della vita adulta, ha decorso inferiore a 3 anni, la regressione delle chiazze avviene comunemente in meno di 6 mesi, non vi è nessuna associazione significativa con malattie autoimmuni;
tipo atopico, esordisce quasi sempre nell’infanzia, ha decorso prolungato e prognosi sfavorevole. Può evolvere verso una alopecia totale,
tipo preipertensivo, colpisce giovani adulti, con diatesi ipertensiva ed evolve rapidamente verso una alopecia totale,
tipo autoimmune, si associa a malattie autoimmuni soprattutto endocrine, esordisce comunemente dopo i 40 anni, ha decorso persistente ed evolve nel 10% dei casi verso l’alopecia areata totale.

L’aspetto istologico della alopecia areata varia a seconda delle fasi della malattia.
Nello stadio acuto, quando i capelli cadono per la prima volta o al margine di una chiazza che si sta allargando si osserva un elevato numero di follicoli in catagen-telogen circondati da un infiltrato infiammatorio linfocitario. I follicoli in anagen possono essere sia di dimensioni normali con il bulbo situato nell’ipoderma che di piccole dimensioni con il bulbo superficializzato.
Nelle chiazze alopeciche in stadio cronico, presenti da lungo tempo, si osserva comunque una normale densità follicolare ma i follicoli sono di piccole dimensioni.

Talvolta i follicoli appaiono istologicamente sostituiti da tratti fibrosi con quadro simile a quello di una alopecia cicatriziale.
I follicoli, quando sono visibili, appaiono sia in telogen che nelle prime fasi dell’anagen, al 3° – 4° stadio, e sono circondati da un denso infiltrato linfocitario peribulbare definito “a sciame d’api”.

Nello stadio di remissione, nelle aree di ricrescita iniziale, si notano follicoli in anagen di maggiori dimensioni contenenti un sottile fusto senza midollo. L’infiltrato linfocitario si fa scarso o è assente.

Non esistono esami di laboratorio utili ad individuare la possibile eziologia dell’alopecia areata ma sarà opportuno prescrivere quegli accertamenti volti ad evidenziare possibili malattie autoimmuni associate: Emocromo, VES, Ra-test, TSH, fT4 autoanticorpi antinucleari. Talvolta un dosaggio urinario nelle 24h dell’acido vanilmandelico mostra valori collocabili nella fascia alta della normalità. Per la maggior parte degli Autori è inutile prescrivere al paziente accertamenti radiologici per la ricerca di foci dentari e sinusali, in quanto sembra ormai accertato che non esiste relazione fra alopecia areata e patologie focali.
Il decorso naturale della alopecia areata, costellato di remissioni e recidive, rende difficile la valutazione di qualsiasi terapia. Nella alopecia che coinvolge meno del 40% del cuoio capelluto c’è una alta probabilità di ricrescita spontanea dei capelli entro un anno dall’esordio, probabilità valutata nel 40% nei bambini e nel 70% negli adulti (Tosti A.). Non è quindi sempre opportuno instaurare trattamenti impegnativi in questi pazienti dal momento che il rapporto rischio/beneficio suggerisce spesso un comportamento di attesta.Molte delle terapie comunemente utilizzate devono forse essere considerate solo un placebo utile a dare alla malattia il tempo necessario a risolversi spontaneamente. Fra queste ricordiamo la crioterapia, il minoxidil, i vasodilatatori, le vitamine, gli aminoacidi, lo zinco.
Possiamo però affermare che il placebo è la più valida terapia della alopecia areata e l’uso di un placebo come la crioterapia con anidride carbonica solidificata (neve carbonica) dà al paziente la misura dell’interessamento del medico al suo caso e lo tranquillizza.
La nostra quotidiana esperienza ci dice poi che il paziente con alopecia areata presenta costantemente disturbi della sfera affettiva, acuti o cronici, che quasi sempre lo portano a dormire poco e/o male e ci siamo convinti che sia utile ripristinare, anche farmacologicamente, un sonno qualitativamente e quantitativamente soddisfacente. Ansia e depressione sono in qualche modo legate alla malattia e la loro valida terapia costituisce il presupposto per rompere il cerchio delle continue ricadute. Talvolta il paziente con alopecia areata presenta disturbi psichici maggiori che dovranno essere opportunamente trattati. Saranno quindi utili presidi terapeutici della alopecia areata gli ipnoinducenti, gli ansiolitici, gli antidepressivi, gli antiallucinatori e talvolta la psicoterapia.
La terapia farmacologica con corticosteroidi locali ci sembra utile, sia che questi vengano somministrati topicamente con medicazione aperta, sia che si voglia ricorrere alla terapia occlusiva, sia che si preferisca la terapia iniettiva intralesionale. Una infiltrazione di triamcinolone alla concentrazione dello 0,5 – 1 mg/ml in una chiazza alopecica dà risultati positivi nel 95% dei casi questi potranno essere seguiti da recidiva se contemporaneamente il “male psichico” che accompagna l’alopecia non è stato adeguatamente affrontato.
Anche la PUVA terapia si è dimostrata efficace ma è sicuramente scomoda per il paziente e spesso economicamente troppo onerosa. Un soggiorno marino è comunque consigliabile e spesso si dimostra utile sia per l’elioterapia naturale, inevitabilmente connessa, che per il riposo. E’ comunque comune osservare la risoluzione di forme anche gravi durante le vacanze estive come la recidiva nei periodi invernali.
Si è dimostrato anche utile l’uso prudente di catrame medicale, ad azione fotosensibilizzante, in pomata o in stick durante il soggiorno marino o semplicemente durante la stagione estiva. L’antralina topica, alla concentrazione dello 0,1 – 0,5%, utilizzata durante le ore notturne e lavata al mattino è una delle terapie più adatte al trattamento della alopecia areata in età pediatrica in quanto scevra da effetti collaterali importanti, eccetto l’inevitabile irritazione.
Le terapie sensibilizzanti ed immunostimolanti possono essere efficaci nelle forme più gravi e di lunga durata. Si utilizzano sostanze ad elevata capacità sensibilizzante allo scopo di indurre una dermatite allergica da contatto sul cuoio capelluto affetto da alopecia. Anche se il reale meccanismo di azione di queste terapie è discusso si ritiene che l’immunostimolazione locale possa agire attraverso due possibili vie: da un lato un nuovo antigene artificialmente fornito può competere con l’antigene ancora sconosciuto che causa la malattia, “distraendo” la risposta immunitaria; dall’altro una immunostimolazione protratta può determinare indirettamente la produzione di linfociti T suppressor che contrastano la risposta immunitaria follicolare (Happle R.). Storicamente la prima sostanza utilizzata è stata il dinitroclorobenzene (DNCB), poi abbandonato per le sue proprietà mutagene. Oggi viene usato il dibutilestere dell’acido squarico (SADBE) ed il difenilciclopropenone (DFC) che rispondono ai requisiti necessari; cioè sono apteni in grado di sensibilizzare praticamente la totalità degli individui esposti, non sono presenti nell’ambiente, non sono mutageni. La sensibilizzazione viene indotta applicando la sostanza scelta per 48 ore al 2% in acetone con un cerotto da patch test a contatto della cute del paziente; dopo 3 settimane si comincia ad applicarla a scopo terapeutico sul cuoio capelluto ad una concentrazione sufficiente a determinare una lieve dermatite da contatto.
Recentemente si è usato, nelle forme gravi di alopecia areata, la ciclosporina A. Questa si è dimostrata di efficacia discutibile solo a dosaggi relativamente alti per via sistemica, completamente inefficace per via topica. Il razionale di questa terapia risiede nella capacità della ciclosporina di indurre il rilascio di linfochine dai linfociti T e/o di bloccare la reazione autoimmune che sarebbe alla base della malattia.
Qualunque sia la terapia scelta per un’ alopecia areata grave questa dovrà comunque essere protratta per un tempo lungo (almeno un anno o più) prima di poterne decretare l’inutilità e purtroppo non esiste alcun criterio sicuro che ci permetta di predire se il paziente ne trarrà beneficio. Esistono anche pazienti “non-responders” nei quali ogni accanimento terapeutico è del tutto frustrante.
Personalmente riteniamo che l’alopecia areata sia in qualche modo psico-determinata e che ogni terapia, per quanto corretta e bene impostata, sia destinata al fallimento, se prima non si è riusciti a risolvere o a rimuoverne la causa condizionante.

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