giovedì
22 FebFinasteride
(a cura del dr Andrea Marliani
Direttore Scientifico del Giornale Italiano di Tricologia)
Se durante la vita intrauterina non si sviluppassero le gonadi l’evoluzione fenotipica del corpo umano e delle strutture riproduttive avverrebbe sempre in senso femminile.
Nel secondo mese di vita intrauterina la formazione dei testicoli dalla gonade primitiva bipotenziale e la conseguente produzione di testosterone (T) inibisce lo sviluppo delle strutture sessuali femminili ed induce il fenotipo maschile.
Lo pseudoermafroditismo da deficit di 5 alfa reduttasi
É particolarmente comune a Santo Domingo ed in alcune aree della Turchia.
Lo pseudoermafroditismo maschile da deficit di 5 alfa reduttasi, noto anche come “ipoplasia perineoscrotale”, è dovuto a carenza congenita di 5 alfa riduzione degli androgeni e rappresenta la più conosciuta e studiata forma di pseudoermafroditismo incompleto del maschio. É caratterizzato da scroto mancante o bifido e da ginecomastia prepubere. Nel bambino affetto i testicoli non sono discesi ed esiste solo un micropene (di misura variabile e considerato un clitoride) anteriormente ad una pseudovagina a fondo cieco: i genitali esterni sono perciò di aspetto femminile e questi soggetti vengono, alla nascita, considerati femmine.
In questi pazienti i tessuti bersaglio del testosterone (T), a differenza dei tessuti diidrotestosterone (DHT) dipendenti, subiscono la normale differenziazione (si formano così i dotti deferenti, l’epididimo, le vescichette seminali) mentre rimangono di tipo femminile i tessuti bersaglio del DHT (come lo scroto che è fortemente ipoplasico o assente). Ne risulta la persistenza dell’apertura del seno urogenitale e la conseguente formazione della pseudovagina a fondo cieco.
Al momento della pubertà la produzione gonadica di testosterone, abbondante per la forte increzione di LH di questi soggetti (che fisiologicamente è frenata dal diidrotestosterone), determina imponente sviluppo delle masse muscolari (T dipendenti) e parziale virilizzazione dei genitali esterni con aumento di dimensione del pene che dimostra capacità erettiva.
La malattia ha una espressività molto variabile fra due estremi: alcuni individui, alla pubertà, divengono maschi a tutti gli effetti, hanno completa discesa testicolare, sono fertili e condurranno poi una vita psico-affettiva maschile normale; altri hanno una virilizzazione solo parziale, i testicoli permangono ritenuti con sterilità per azoospermia e sceglieranno di venire castrati per continuare a condurre la loro vita da donna.
Comunque anche nei soggetti con completa virilizzazione si ha minore arretramento frontoparietale maschile dei capelli (rispetto ai maschi normali) e distribuzione dei peli di tipo femminile.
Il modello clinico delle sindrome da deficit di 5 alfa reduttasi ci ha fatto capire quali sono i tessuti la cui espressione fenotipica è T o DHT dipendente: nella differenziazione dell’apparato genitale maschile le strutture wolffiane (deferente, epididimo, vescichette seminali) sono sotto il controllo del T mentre i genitali esterni, lo scroto, la prostata, sono sotto il controllo del diidrotestosterone.
Semplificando:
=> testosterone dipendenti sono:
– lo sviluppo delle masse muscolari,
– lo sviluppo dei dotti deferenti, dell’epididimo, delle vescichette seminali e, in parte, del pene come pure la sua erezione,
– l’inibizione dello sviluppo del seno,
– l’arretramento frontoparietale dei capelli alla pubertà.
=> diidrotestosterone dipendenti sono:
– Il feedback ipotalamo-ipofisario testicolare dell’LH e del T,
– lo sviluppo del sacco scrotale,
– la maturazione degli spermatociti a spermatozoi,
– la alopecia del vertice
Nota: lo pseudoermafroditismo da deficit di 5 alfa reduttasi è una variante della Sindrome di Reifenstein (che è dovuta a vari deficit enzimatici), che non deve essere confusa con la Malattia di Reifenstein (dovuta a deficit di 17 beta idrossisteroido ossidoreduttasi)
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Gli isoenzimi della 5 alfa reduttasi
La sintesi di diidrotestosterone è catalizzata dalla 5 alfa reduttasi che esiste almeno sotto due forme isoenzimatiche, dette rispettivamente: isoenzima tipo 1 ed isoenzima tipo 2.
Le attuali conoscenze sugli isoenzimi della 5 alfa reduttasi, come emergono dalla letteratura, sono confuse e talvolta contraddittorie: sembra tuttavia di potere schematizzare nel seguente modo quanto si sa di certo:
pare dimostrato che lo pseudoermafroditismo maschile descritto da Imperato-Mc Ginley J. nel 1974 sia la conseguenza di una mutazione del solo di tipo 2 (Thigpen A.E. et at: 1992); mediante immunoblotting sono stati identificati i tessuti specifici la cui espressione fenotipica è dipendente dagli isoenzimi tipo 1 o 2 della 5 alfa reduttasi; nel feto l’isoenzima 1 non è mai documentabile; invece l’isoenzima di tipo 2 è dominante e già documentabile nella cute, a livello dei genitali e nei tessuti che daranno origine agli organi sessuali accessori maschili; nel neonato ambedue gli isoenzimi sono presenti alla nascita ma scompaiono con la scomparsa dal siero delle gonadotropine materne: sono quindi ambedue gonadotropino dipendenti; notiamo che l’isoenzima tipo 1 è espresso alla nascita solo transitoriamente nella cute del cuoio capelluto per poi scomparire e ricomparire definitivamente e permanentemente dopo la pubertà; non esiste alcuna differenza qualitativa o quantitativa per gli isoenzimi della 5 alfa reduttasi tra feto e bambino che da adulto perderà i capelli e quello che non li perderà: la differenza esiste solo nell’adulto; nell’adulto l’isoenzima di tipo 2 è sicuramente presente nelle ghiandole sessuali maschili accessorie ed è particolarmente abbondante nei tessuti della prostata, dove è stato anche meglio studiato, specie in presenza di iperplasia benigna e/o di adenocarcinoma; l’isoenzima di tipo 1 è abbondante nella cute del vertice del cuoio capelluto ed è reperibile nei follicoli piliferi (a livello della papilla, della matrice, delle guaine e delle ghiandole sebacee); a livello del follicolo pilifero, in quantità assai più modesta, sembra sia presente anche l’isoenzima di tipo 2.
Questi dati fanno pensare che la 5 alfa reduttasi tipo 1 sia responsabile, con il testosterone, della parziale virilizzazione in soggetti tipo 2 deficienti al momento della pubertà, e suggerisce che lo stesso isoenzima tipo 1 sia un fattore decisivo nello svilupparsi della calvizie maschile.
La 5 alfa reduttasi isoenzima tipo 1, propria della cute e del cuoio capelluto è diversa dall’ isoenzima tipo 2 prostatico:
1) strutturalmente i due isoenzimi sono uguali come sequenza aminoacidica solo per il 50%,
2) il gene che codifica l’isoenzima 1 è localizzato nel braccio corto del cromosoma 5, il gene che codifica l’isoenzima 2 si trova nel braccio corto del cromosoma 2,
3) le condizioni ideali per la 5 alfa reduttasi tipo 1, concentrata nella parte alta del cuoio capelluto, per ridurre il T a DHT prevedono un pH intorno a 7,0. Le condizioni ideali di pH per l’enzima 2 prostatico sono intorno a 5,5,
4) questi isoenzimi differiscono anche per la loro capacità di legarsi al T che è 25 volte più alta per la reduttasi isoenzima 1 del cuoio capelluto rispetto a quella dell’isoenzima 2 prostatico,
5) la differenza più significativa tra i due enzimi, che presumibilmente è la conseguenza delle precedenti differenze, è la loro affinità per gli inibitori.
I composti 4-azasteroidi ed il 3-carboxiandrostadiene (la finasteride è un composto 4-azasteroide sintetico) sono inibitori potenti della reduttasi 2 prostatica ma solo debolissimi inibitori della reduttasi 1 tipica del cuoio capelluto.
Al contrario il pregnan-3 ene, 4, 20 dione (cioé il progesterone naturale) è un ottimo inibitore dell’isoenzima 1 come dell’isoenzima 2; alcuni N-4-methylazasteroidi sono buoni inibitori della reduttasi tipo 1.
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Progesterone
Il progesterone naturale (pregnan-3 ene, 4, 20 dione), i suoi derivati diretti e quelli 17 alfa idrossilati si sono dimostrati capaci di inibire l’attività 5 alfa reduttasica per competizione con il testosterone.
I progestativi di sintesi, utilizzati da soli per via generale, trovano indicazione nei defluvi femminili da carenza progestinica, per anovulazione e tipicamente nel defluvio del periodo della pre-menopausa, periodo che sopraggiunge 4 – 5 anni prima della menopausa.
Il periodo della pre-menopausa è caratterizzato clinicamente da cicli anovulatori con mestrui irregolari (caratteristiche l’oligomenorrea, la spaniomenorrea e le metrorragie) e, endocrinologicamente, dal deficit progestinico con conservata (se pur ridotta) produzione estrogenica.
Il deficit progestinico comporta da un lato un aumento dell’ attività periferica degli androgeni ovarici (per ridotta competizione) e dall’altro un incremento della secrezione ipofisaria di LH e quindi della secrezione da parte dello stroma ovarico di androstenedione, steroide precursore degli estrogeni ma anche facilmente riducibile (ridurre = acquistare un H) a T dalla 17 OH steroido reduttasi (17 beta HSD) in presenza di NADH2.
Otterremo così una riduzione della produzione di androgeni gonadici per inibizione della produzione ipofisaria di LH, un effetto di inibizione sul metabolismo periferico del T ed un ripristino della regolarità del mestruo.
Dovrebbero essere evitati, in tricologia, i più potenti progestinici derivati dal 19 nortestosterone (nor-androstani) che, per quanto molto utili in endocrinologia ginecologica, possono avere essi stessi una non trascurabile azione androgena diretta: il derivato più famoso e più utilizzato di questa classe è il noretisterone (Primolut Nor ®).
Al di fuori del caso della carenza progestinica e del periodo della pre-menopausa i progestativi sono generalmente somministrati insieme agli estrogeni, sotto forma di preparati estroprogestinici, la così detta “pillola antifecondativa” (la prima in Italia fu l’Enovid).
Gli Estroprogestinici nelle primitive versioni ad alto dosaggio di estrogeno (di solito l’etinilestradiolo) da 0,075 a 0,1 mg, allora sempre associato ad un progestinico non androstanico e non androgenizzante (di norma si usava il noretinodrel, il clormadione, il medrossiprogesterone) davano buoni risultati sull’androgenismo cutaneo con riduzione della caduta dei capelli, miglioramento della seborrea e dell’acne.
Successivamente, per il timore di complicanze tromboemboliche (assai ipotetiche) e anche sull’onda di una “moda commerciale”, si è assistito ad una ricerca (mai del tutto scientificamente motivata) di dosaggi steroidei sempre più bassi e si è preferito non superare il dosaggio di 0,05 mg di etinilestradiolo, accoppiando all’estrogeno progestativi androstanici o nor-androstanici (come ad esempio il noretisterone, il norgestrel, il levonorgestrel, il desogestrel ed il gestodene: tutti derivati dal 19 nor-testosterone) assai più potenti, ad emivita più lunga, con maggiore capacità inibitoria ipofisaria, di maggiore sicurezza contraccettiva ma sicuramente privi di effetti antiandrogeni o addirittura decisamente androgenizzanti ma utilizzabili a dosaggi più bassi (naturalmente in peso e non in attività biologica ma più graditi dal mercato).
Si è così creata una 2° e poi una 3° generazione di anticoncezionali orali (certamente in tal senso più sicuri), si è facilitata la contraccezione orale ed aumentato le vendite ma si è anche creato una serie di farmaci capaci di aggravare o provocare un androgenismo cutaneo (e talvolta non solo cutaneo) e capaci di indurre, in soggetti predisposti geneticamente, defluvio, ipertricosi ed acne.
L’attività androgena dei progestinici di sintesi utilizzati per la contraccezione orale è assai variabile: trascurabile per i derivati dei metaboliti fisiologici del progesterone (come i 17 idrossilati) è invece assai accentuata per i progestinici più potenti e ad emivita lunga, caratterizzati da 19 o 20 atomi di carbonio e derivati dal T (nor-androstani).
Ricordiamoci che il progesterone naturale è caratterizzato da una struttura tetraciclica a 21 atomi di carbonio.
Gli effetti androgeni dei progestinici possono essere attribuiti a due diversi meccanismi:
1) fissazione diretta sui recettori degli androgeni;
2) fissazione sulla SHBG: il T legato alla SHBG viene spiazzato dal progestinico, che ha per la globulina legante maggiore affinità, con conseguente aumento della sua quota libera.
É importante saper distinguere i progestinici di sintesi a 19 e 20 atomi di carbonio, tutti potenzialmente androgenizzanti, dai progestinici a 21 atomi di carbonio, derivati dal progesterone naturale, non androgenizzanti e talvolta ad effetto decisamente antiandrogeno e dai quali deriva anche il noto ciproterone.
In genere possiamo dire che i progestativi più simili al progesterone (retroprogesterone, medrogestone, demegestone, promegestone etc) e quelli della serie del 17 alfa-idrossiprogesterone esplicano una azione antiandrogena mentre quelli della serie del 19 nor-testosterone hanno sempre una azione androgena più o meno pronunciata.
Dopo applicazione epicutanea circa il 10% del progesterone somministrato supera rapidamente lo strato cutaneo, viene concentrato nei tessuti epidermici, dermici e ghiandolari e quindi per la massima parte metabolizzato gradualmente in derivati inattivi a livello del complesso follicolo-pilo-sebaceo (Fayolle J. – Mauvais-Jarvis P.).
Il passaggio nel circolo sistemico (assorbimento) è estremamente ridotto e le concentrazioni seriche dello steroide rimangono pressoché invariate rispetto ai livelli basali (Manfredi G. – Mauvais-Jarvis P.) e non vi sono alterazioni delle gonadotropine. Questo è il motivo per cui nel produrre cerotti transdermici estroprogestinici l’industria farmacologica ha dovuto ricorrere al noretisterone (di metabolismo locale assai più complesso, con emivita molto più lunga, sicuramente androgenizzante).
Possiamo però trattare con una soluzione topica di progesterone naturale i pazienti affetti da defluvio androgenetico maschile, selezionati per una chiara ereditarietà familiare, ottenendo un rallentamento dell’evoluzione naturale della alopecia. In pratica si inganna il follicolo che, inibito nella sua funzione 5 alfa reduttasica finalizzata al ricambio del capello, crede di avere più “tempo anagenico” (qualcosa di simile alla “memoria virtuale” di un computer) e allunga la durata dell’anagen dei capelli trattati.
Il progesterone è stato usato in passato topicamente a concentrazioni variabili (sempre più alte col passare degli anni: 0,5 – 1 – 2 – 3 – 4%) in soluzione idroalcolica (in etanolo 60-70% alla concentrazione del 3% abbiamo una soluzione satura) nella dose di 2 – 4 ml al giorno (10 – 20 – 40 – 60 – 80 mg die).
Degna di nota è la quasi assoluta mancanza di effetti collaterali ad eccezione di quelli imputabili all’eccipiente alcolico del progesterone: bruciore della cute, secchezza dei capelli (peraltro indice clinico di blocco della 5 alfa reduttasi della ghiandola sebacea), disidratazione dello stelo del capello (comunque accettabile) e della cute con pitiriasi secca (forfora).
Il grande limite di questo tipo di approccio terapeutico in tricologia è la produzione testicolare (centrale quindi e non periferica) di diidrotestosterone, pari circa al 20 – 25% dell’ormone totale (DHT) circolante; infatti gli effetti degli steroidi a livello della cute sono (quasi) di tipo “tutto o nulla”, cioè è sufficiente la presenza dell’ormone, indipendentemente dalla sua quantità, per provocare (quasi) tutto l’effetto biologico.
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Finasteride
La finasteride rappresenta il prototipo di una nuova classe di inibitori specifici della 5 alfa reduttasi ed è indicata per il trattamento della iperplasia prostatica benigna. É un composto 4-azasteroide sintetico e si presenta come una sostanza cristallina di colore bianco, solubile in cloroformio e negli alcoli inferiori, praticamente insolubile in acqua.
La finasteride non ha affinità per i recettori degli androgeni.
É un potente inibitore competitivo della 5 alfa reduttasi umana isoenzima tipo 2 in vitro ed in vivo.
Da risultati di studi randomizzati in doppio cieco sappiamo che una singola dose di 5 mg di finasteride per os provoca una rapida riduzione della concentrazione serica di DHT, con effetto massimo osservabile dopo 8 ore e che raggiunge circa l’80% dopo 7 – 10 giorni di assunzione, per ritornare ai valori di pretrattamento alla sospensione.
Una dose orale di finasteride viene escreta con le urine per il 39% sotto forma di metaboliti e per il 57% con le feci, sempre come metaboliti.
La biodisponibilità è intorno all’80% e non viene influenzata dal cibo. Le concentrazioni massime si raggiungono in circa 2 ore e l’assorbimento è completo in 6 – 8 ore. L’emivita plasmatica della sostanza è di circa 6 ore. Il legame proteico è intorno al 93%. Dopo somministrazione giornaliera di 5 mg la concentrazione plasmatica allo stato di equilibrio è di circa 8 – 10 ng/ml e rimane stabile nel tempo.
La finasteride non ha presentato effetti sui livelli circolanti di cortisolo, estradiolo, prolattina, ormone tireotropo e tiroxina né sull’assetto lipidico.
In pazienti trattati per 12 mesi è stato osservato un aumento di circa il 15% dell’ormone luteinizzante (LH) e di circa il 9% del follicolostimolante (FSH).
Il quadro metabolico che si ottiene è assimilabile a quello dei soggetti con deficit genetico di 5 alfa reduttasi che presentano livelli di DHT marcatamente ridotti, prostata piccola e alla nascita difetti di sviluppo dei genitali esterni ma non altri disturbi clinicamente importanti.
Non sono stati rilevati fatti di tossicità epatica, renale, gastrica, respiratoria o cardiovascolare imputabili al farmaco né è stata osservata alcuna evidenza di effetti carcinogenetici o mutageni nei fruitori del farmaco.
La sua somministrazione nella donna è potenzialmente pericolosa per il rischio di femminilizzazione dei genitali esterni di un feto maschio in una eventuale gravidanza. Il blocco della 5 alfa reduttasi isoenzima tipo 2 fetale comporta il rischio di uno pseudoermafroditismo da deficit di 5 alfa reduttasi iatrogeno.
La finasteride si ritrova nell’eiaculato dei soggetti trattati in quantità pari circa ad 1/50 della dose assunta per via orale e non è noto se un feto di sesso maschile possa subire femminilizzazione nel caso che la madre venga esposta allo sperma di un paziente in trattamento.
Anche per la finasteride, come per quasi tutti gli altri antiandrogeni, è stato subito preconizzato un uso nella terapia del defluvio e della alopecia androgenetica.
Il farmaco, con questa nuova indicazione, è stato approvato dalla F.D.A. e la specialità sta entrando in commercio nel mondo in forma di compresse da 1 mg (dosaggio consigliato: 1 mg/die). Con questa dose le concentrazioni seriche di DHT diminuiscono del 65% nell’arco di 24 ore dalla somministrazione. Le concentrazioni seriche di testosterone ed estradiolo aumentano del 15% circa ma rimangono entro i limiti della norma (The Medical Letter XXVII, 9, 1998).
Gli effetti collaterali sembrano essere poco rilevanti e soprattutto poco vistosi, limitati a circa il 4% dei pazienti trattati, comunque reversibili alla sospensione del farmaco. Gli effetti collaterali denunciati sono ovviamente correlati alla funzione sessuale: impotenza, diminuzione della libido, diminuzione del volume dell’eiaculato, più frequentemente oligo-asteno-azoospermia reversibile (sempre reversibile?).
L’effettiva utilità del trattamento in campo tricologico è comunque ancora tutta da discutere.
Da una nostra indagine informale, condotta presso i Medici Generici, non risulta che il farmaco, quando somministrato per adenoma prostatico, abbia mai determinato la ricrescita dei capelli. Anche in letteratura non è segnalata ricrescita di capelli in uomini che assumevano la finasteride per adenoma prostatico. D’altra parte i 4-azasteroidi inibiscono solo in minima parte la 5 alfa reduttasi isoenzima tipo 1, largamente rappresentato a livello del cuoio capelluto.
Non ci pare eticamente corretto utilizzare la finasteride in giovani maschi per una possibile (ma improbabile) “cura” della calvizie, considerando che:
1) i 4-azasteroidi non inibiscono, se non in minima parte, la 5 alfa reduttasi isoenzima 1,
2) l’azione degli ormoni sessuali sui follicoli pilosebacei non è proporzionale alla quantità di ormone ma è dovuta semplicemente alla sua presenza.
3) il tempo utile di terapia non può, nel migliore dei casi, essere inferiore a 10 – 15 anni, che corrispondono agli anni che la Natura ha dedicato alla riproduzione,
4) il farmaco si ritrova nell’eiaculato e pertanto un feto di sesso maschile potrebbe teoricamente essere esposto al rischio di femminilizzazione se la madre avesse rapporti sessuali con un paziente in trattamento,
5) la finasteride è teratogena negli animali ed il produttore del farmaco avverte che le donne in stato di gravidanza o che potrebbero esserlo non devono assumere finasteride o maneggiare compresse rotte o sminuzzate.
Vogliamo anche aggiungere che, secondo The Medical Letter (XXVII, 9, 1998), “non sono stati pubblicati studi clinici riguardanti gli effetti della finasteride sulla perdita dei capelli. Tre studi multicentrici in doppio cieco condotti su uomini di etc compresa tra 18 e 41 anni sono stati presentati come abstracts”. Questi tre studi sono stati successivamente riuniti, e presentati, in un unico trial clinico.
Anche per la finasteride vi sono stati poi sporadici tentativi, non controllati, di somministrazione topica in veicolo idroalcolico a concentrazioni intorno allo 0,05% e si prospetta la possibilità di una sperimentazione policentrica controllata.
I risultati non potranno che essere inferiori a quelli ottenuti con progesterone naturale, che è l’inibitore più potente e meglio conosciuto della 5 alfa reduttasi (isoenzimi tipo 1 e 2), pertanto tutto questo non ci sembra né razionale né del tutto scevro da pericoli!
Nel momento in cui scriviamo, negli Stati Uniti trenta compresse di finasteride da 1 mg costano 46,88 dollari; in Italia 30 compresse da 5 mg (per l’ipertrofia prostatica) costano 74.400 lire.
Purtroppo si può riterere che solo per ragioni meramente commerciali la finasteride venga accettata come “anticalvizie” per darla, fra qualche anno, come superata ed inutile.
In campo tricologico troppi pensano ancora che tutto ciò che è commerciabile possa essere fatto, senza usare razionalità né discernimento e che le ricerche e le sperimentazioni possano essere “forzate” alla conclusione desiderata. “Poiché, tanto, solo il suolo può fermare i capelli che cadono!”.
(Contiamo di pubblicare, sul prossimo numero del Giornale, una “Review” della bibliografia sulla finasteride dal 1974)
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