Terapie classiche e tradizionali
CLASSICHE E TRADIZIONALI
DELLA CALVIZIE E DEI DEFLUVI
dr. Andrea Marliani
dermatologo – endocrinologo
in Firenze
Estratti placentari
Il loro uso deriva dalla tradizione della opo-organoterapia e dalle teorie di Brown-Séquard (1817-1894), successore di Claude Bernard al Collegio di Francia, che verso la fine dell’1800 preconizzò l’uso terapeutico del succo (opos) d’organo per la cura dell’organo malato.
La preparazione di questi “estratti” dava luogo a preparati instabili, senza caratteristiche costanti, dipendendo la loro composizione da circostanze spesso aleatorie e non riproducibili come la temperatura di conservazione e la freschezza degli organi utilizzati.
La loro efficacia, descritta in termini miracolistici dalla letteratura dell’800, non è mai stata realmente dimostrata; nonostante ciò le specialità opoterapiche hanno avuto una popolarità e una diffusione tanto larga che ancora nell’1966 il Prontuario Terapeutico Italiano riportava, ad esempio, ben 18 specialità cardiologiche a base di “cuore”. Successivamente i preparati opoterapici sono stati talmente svalutati che oggi l’Enciclopedia Medica Italiana (UTET) li definisce come “espressione sostitutiva del cannibalismo rituale”.
Nella scia della opoterapia si collocano nel 1933 le ricerche di Filatov sugli estratti di placenta, che utilizzati e descritti dalla letteratura di allora come cicatrizzanti, anti-osteoporotici, ricostituenti, anabolizzanti, anticalvizie etc, ebbero, ed hanno ancora, larga diffusione.
Si trattava allora di estratti “totali” (o “crudi” secondo la letteratura anglosassone) cioè contenenti tutte le sostanze estraibili con un determinato procedimento. Filatov attribuiva la loro attività a non meglio identificate “biostimoline”. Negli anni ’50 gli estratti placentari hanno avuto un ampio utilizzo e tra i numerosi lavori di quel periodo vanno ricordati quelli di Scotti che formulò, in chiave biochimica, alcune ipotesi sul loro meccanismo di azione. Poi seguì un periodo di relativo oblio durato circa 20 anni. Solo all’inizio degli anni ’80 sono ripresi seri studi volti a chiarire i problemi inerenti all’impiego terapeutico degli estratti placentari e sono state in piccola parte chiarite alcune delle loro proprietà farmacologiche. Sono stati identificati sul tessuto di placenta umana recettori per l’Epidermal Grow Factor (Hoch E.A.), sono state chiarite le caratteristiche della frazione collagenica placentare (Kao K.Y.) (Furoto D.K.), è stata infine identificata nei tessuti placentari una attività somatostatino simile (Kumasaka T. et Coll.) ed una attività tireotropino-releasing simile (Youngblood W.W.).
Grazie alle recenti acquisizioni farmaco-biologiche sappiamo che gli estratti crudi placentari contengono:
1) mucopolisaccaridi, cui sono attribuiti effetti eparino simili (Moggi G. et Coll.) (Bianchini P. et Coll.), chiarificanti(Kennedy J.F.)(Angelucci L.) e cicatrizzanti (Bigliardi P.)(Papalini R. et Coll.);
2) polidesossiribonucleotidi, cui sono attribuite attività anticomplemento ed attività antiinfiammatoria, antiedemigena ed antireaginica (Cattarini O. et Coll.) (Bianchini C. et Coll.);
3) collagene e polipeptidi, cui sono attribuite funzioni trofiche (Scotti G.)(Gate J.);
4) fattori di crescita della famiglia dell’EGF (Hoch E.A.);
5) estrogeni, progesterone, somatomammotropina, HCG etc;
6) probabilmente molti altri fattori non ancora identificati ad attività endocrina paracrina ed autocrina (come dimostrano ad esempio le già citate attività somatostatinica e tireotropinica).
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Rubefacenti
L’evidenza e le osservazioni che:
1) un capello non può crescere senza un adeguato apporto di sangue che fornisca al follicolo i necessari metaboliti,
2) i peli terminali (anagen 6) sono meglio vascolarizzati dei peli vellus,
3) i peli o i capelli localizzati su anomalie vascolari sono frequentemente più lunghi e più grossi di quelli adiacenti nella stessa zona, ha fatto sopravvalutare l’importaza dell’apporto ematico ed ha portato a molti tentativi di stimolare la crescita di capelli in zone alopeciche attraverso l’incremento del flusso di sangue ottenuto mediante l’applicazione topica di vasodilatatori e sostanze rubefacenti.
Si definiscono come rubefacenti le sostanze capaci di provocare iperemia reattiva nella zona di applicazione.
Tra le principali sostanze rubefacenti ricordiamo:
Esteri dell’acido nicotinico:
sono i rubefacenti che hanno avuto maggiore popolarità ed hanno trovato più larga diffusione nella terapia dei defluvi (tutti ricordiamo il “benefico rossore”).
In realtà l’acido nicotinico ed i suoi derivati addirittura potrebbero essere dannosi in un defluvio poiché sembrano in grado di inibire l’aumento intracellulare di cAMP indotto da ormoni attivatori della adenilciclasi (Hardman J.G.).
Pilocarpina:
solubile in alcol ed in acqua è il principale alcaloide dello Jaborandi.
L’azione principale della pilocarpina è un effetto parasimpaticomimetico di tipo muscarinico. Viene impiegata in lozioni per uso locale in concentrazioni fra lo 0,5 ed il 2%. Va ricordato che l’assorbimento percutaneo può talora provocare manifestazioni tossiche generali evidenziate da scialorrea e sudorazione (l’antidoto è l’atropina).
Jaborandi:
vengono designate con questo nome le foglie di varie specie di pilocarpus.
Le proprietà degli estratti di Jaborandi sono legate essenzialmente al loro contenuto in pilocarpina. Il contenuto in alcaloide va dallo 06 allo 09%.
Cantaridina:
la cantaride (mosca spagnola) è un coleottero di color verde brillante lungo 2-3 cm. L’insetto vivo, quando stimolato, produce dagli organi genitali un liquido oleoso che contiene la “cantaridina” che è un lattone dell’acido cantaridinico.
Comunemente la cantaridina si ottiene estraendola con etere e cloroformio dagli insetti macinati in polvere fine. Questa è un potente revulsivo e vescicatorio ed è stata largamente impiegata in lozioni “anticalvizie” per uso topico alla concentrazione dello 0,2-0,5%.
La cantaride ha avuto in passato largo uso come “afrodisiaco” ed assunta per os provoca priapismo ma la dose letale, che si aggira su 1-2 gr di polvere di cantaride o 10-15 mg di cantaridina, è assai vicina alla dose “utile”. La cantaridina viene prontamente assorbita a livello gastrointestinale e limitatamente anche dalle mucose e dalla cute ed essendo potenzialmente tossica a livello renale non deve essere usata nei nefropazienti.
Mentolo:
questa molecola esiste in 8 forme stereoisomere. Quando il mentolo viene applicato sulla pelle provoca vasodilatazione, ne consegue sensazione di fresco seguita da blando effetto analgesico.
Ditranolo (sinonimi: antralina, cignolina):
è un irritante locale (più che un rubefacente) solubile in cloroformio, si impiega ancora oggi sotto forma di unguento o pasta allo 0,1-1% nel trattamento della psoriasi e di alcune dermatosi croniche. E’ stato proposto anche nella terapia della calvizie ed in particolare nella terapia della alopecia areata in alternativa al dinitroclorobenzene.
Crisarobina:
viene ancora impiegata per la terapia della psoriasi in concentrazione variabile fra l’1 e 5% ma è stata in passato usata anche nella terapia delle alopecie.
E’ ormai generalmente accettato che la vascolarizzazione non sia stimolo dell’attività del follicolo ma che sia l’attività del follicolo ad determinare un aumento di flusso sanguigno a livello della papilla dermica, pertanto l’uso dei rubefacenti è assolutamente inutile nella prevenzione della calvizie e, come abbiamo visto, talvolta dannoso o addirittura pericoloso. Tuttavia l’uso di un rubefacente non tossico, come il mentolo a concentrazioni variabili fra lo 0,1 e 1%, può essere utile per favorire la penetrazione percutanea di sostanze attive come il progesterone, lo spironolattone, il minoxidil etc.
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Fitoterapia
La terapia per mezzo di piante ed erbe è ovviamente antichissima e tutti i popoli primitivi sono in possesso di vaste e tradizionali conoscenze sulle piante curative. La antica fitoterapia era basata sull’empirismo, sulla magia, su usanze religiose e su interpretazioni simboliche.
Dalla fitoterapia derivano molti farmaci moderni di cui certamente non possiamo più far a meno, gli esempi più noti sono la digitale ed i derivati della segale cornuta.
Nella caduta dei capelli è tradizionale, da noi in Italia, l’uso dell’ortica, in altre parti dell’Europa centrale si usa il luppolo, ma praticamente ogni tradizione culturale ha la sua “erba” anticalvizie.
Urtica dioica (Tintura Madre)
S: frizioni a giorni alterni
Humulus lupulus (Tintura Madre)
S: frizioni a giorni alterni
Anche l’industria cosmetica ci propone estratti di achillea, farfara e china fantasiosamente ribattezzati come “auxina tricogena”.
Gli studi sulla esatta valutazione del contenuto in ormoni ed altre sostanze farmacologicamente attive nel mondo vegetale sono ancora agli inizi, ma possiamo dire che l’ortica contiene istamina, sostanza probabilmente in grado di attivare l’adenilciclasi dei cheratinociti basali della matrice del capello.
Il luppolo contiene estrogeni vegetali non ben definiti (ricordiamo che le raccoglitrici di luppolo mestruavano praticamente tutte insieme solo alla fine del raccolto e che tradizionalmente il luppolo era usato per calmare l’eccitazione sessuale degli adolescenti).
Humulus lupulus (estratto secco) 200 mg
Gentiana lutea (estratto secco) 250 mg
per una capsula
S: 1 cps., prima dei 3 pasti
Achillea, farfara, china, Salvia, Rosmarino, Timo, sembrano contenere alcuni “fattori” in grado di agire sul ciclo del pelo (Cipriani C.), ma la cui struttura non è ancora stata completamente definita nè l’azione sufficientemente confermata.
Cinchona (china corteccia) (tintura semplice)
S: frizioni quotidiane
Rosmarinus officinalis (sommità fiorite) 100 gr
Thymus vulgaris (sommità fiorite) 100 gr
S: frizioni bisettimanali con infuso al 10%
I principi attivi individuati come auxine tricogene sono: acido auxentriolico (auxina a), acido auxenolico (auxina b), acido beta-indolacetico (eteroauxina). Questi “fitormorni” sembrano poter influenzare l’attività dell’adenilciclasi dei cheratinociti della matrice del pelo. Si tratta di flavonoidi probabilmente in grado di potenziare localmente l’azione dell’estrone dei cheratinociti della matrice del capello, come ad esempio, sembra fare l’ipriflavone, a livello degli osteoblasti ed usato per la terapia dell’osteoporosi.
Alcune palmacee contengono sostanze ad azione progestinica. Ricordiamo, ad esempio, il caso della serenoa repens ai cui estratti (in particolare al contenuto in beta sitosterina) viene attribuita azione di blocco sulla alfa reduttasi del testosterone e sul recettore citosolico del diidrotestosterone (Sultan C. – Carilla E.) e vengono usati da anni per la terapia medica dell’adenoma prostatico. Azione simile, sempre per il contenuto in beta sitosterina, è attribuita anche all’estratto di pigeum africanum.
Da Benigni R. (Manuale di fitoterapia, editore Inverni della Beffa) riportiamo testualmente: “Il Fujitani attribuisce l’azione di questa droga (Gin-Seng) sulla sfera sessuale al contenuto di una sostanza estrogena. Ciò è stato confermato recentemente dallo Su Sun (1933) che isolò da estratti acquosi di Gin-Seng una sostanza capace di dar luogo nelle ratte castrate a reazioni follicolinosimili e di provocare la comparsa dell’abito di nozze in certi pesci. Anche più recentemente il Paris (1946), iniettando l’estratto di una droga che fu confusa col Gin-Seng (La Rodgersia aesculifolia Batal. Fam. Saxifragaceae) in ratte castrate riuscì a provocare la ripresa del ciclo sessuale e la comparsa di cellule cheratinizzate nel muco vaginale. Questo autore trovò che in un grammo di radice fresca del materiale sperimentato, erano contenute da 8 a 10 U.I. di estrone, poco meno cioè di quanto ne è contenuto nella polvere di ovaio che ne contiene da 10 a 20 U.I.
L’industria farmaceutica ci propone con il nome di “fitostimoline” l’estratto acquoso di germogli di triticum vulgare coltivato in condizioni di disagio secondo le teorie di Filatov che nel 1945 enunciava: “Ogni tessuto umano, animale o vegetale, mantenuto in stato di sopravvivenza, messo però in condizioni di sofferenza, reagisce difendendosi con la produzione di speciali sostanze di resistenza (stimolatori biogeni o biostimoline) che, introdotti a loro volta in un organismo vivente umano, animale o vegetale, ne riattivano i processi organici vitali migliorandone la potenzialità difensiva verso le alterazioni morbose”. L’esatta natura di questi fattori di crescita (biostimoline) non è però conosciuto ne’ la loro attività terapeutica inequivocabilmente documentata.
I fitormoni sono composti organici prodotti dalle piante che controllano e regolano l’accrescimento e le altre funzioni della vita vegetale in punti lontani da quelli in cui sono formati. Sono attivi a piccolissime quantità, a concentrazioni inferiori a M/1000 e sono probabilmente ubiquitari in tutto il mondo vegetale. L’idea dell’esistenza di “sostanze formatrici di organi” non è recente, risalendo agli studi di H.L. Duhamel Dumonceau (1758), di J. von Sachs e C. Darwin nella seconda metà del ‘800 e, successivamente, a quelli di P. Boysen-Jesen (1910-13) e di A. Paal (1919). Solo nel 1926-28, però, fu provata sperimentalmente l’esistenza di sostanze che, elaborate nella gemma apicale, determinano l’accrescimento delle zone ad essa sottostanti. Tali sostanze, denominate auxine naturali, sono l’acido auxentriolico (auxina a), l’acido auxenolico (auxina b), l’acido beta-indolacetico (o acido indol-3-acetico o eteroauxina) che è stata ottenuto in forma pura da funghi e da cariossidi di mais e la cui presenza è stata accertata con tests biologici o con cromatografia in un gran numero di piante superiori alghe e funghi. Pertanto quando si parla di auxina senza altre precisazioni si intende l’acido beta indolacetico. Spetta a F.W. Went il merito di averlo isolato ed averne dimostrato l’attività fisiologica.
Oltre alle auxine, che sono i fitormoni di gran lunga più studiati, sono stati successivamente scoperti ed isolati altri fitormoni: le gibberelline, le citochinine, l’abscissina, l’etilene, l’ormone florigeno, le caline, gli ormoni da ferita ed altri ancora.
Considerando le attuali scarse conoscenze sul contenuto in sostanze ad azione farmacologica ed ormonale nel mondo vegetale e d’altra parte la grande tradizione, in gran parte perduta, della fitoterapia, non ci sentiamo di “bollare” come inutile e falso tutto ciò che ci viene proposto in terapia medica, endocrinologica, dermatologica dai fitoterapisti.
Purtroppo però nel nostro mondo i veri fitoterapisti sono certo rimasti molto pochi (e, se ci sono, sono per lo più degli empiristi). La fitoterapia stessa, ridotta al rango di erboristeria, ha dei “sacerdoti” talvolta molto volenterosi ma spesso assai ignoranti.
L’industria fito-farmaco-cosmetica propone quindi, con un pò di fantasia, tanti “rimedi miracolosi” troppo spesso senza una base accettabile di letteratura e certa di non poter avere interlocutori in grado di discutere.
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Terapie fisiche
Si intende per terapia fisica (o fisioterapia) l’utilizzazione a scopo terapeutico degli effetti biologici di agenti fisici naturali o artificiali della più varia natura come l’acqua, l’aria, il calore, il freddo, l’elettricità, gli agenti meccanici, la luce ed altre forme di energia radiante applicate sull’intero organismo o su sue parti.
Nella terapia tricologica hanno tradizionalmente trovato applicazione la crioterapia con neve carbonica, la fototerapia con raggi UV, la massoterapia.
La crioterapia mediante massaggi del cuoio capelluto alopecico con “neve carbonica” è, ed è stata, ampiamente usata. L’anidride carbonica solida, raccolta mediante decompressione rapida da una bombola, ha una temperatura di -78,5°C e massaggiata sulla cute provoca un eritema passivo intenso e duraturo che può favorire la penetrazione di principi attivi.
La fototerapia con raggi UV induce, per effetto fototossico, eritema passivo circa 12 ore dopo l’esposizione ad una quantità di radiazione corrisponde a 20-30 minuti di luce solare con sole allo zenit.
La fototerapia può favorire la penetrazione di principi attivi e si è dimostrata utile nella alopecia areata, probabilmente per effetto immunosoppressivo, ma richiede cautela per la formazione di radicali liberi con effetto lesivo sui fibroblasti, sui cheratinociti e su tutte le componeti dell’epidermide e del derma.
La massoterapia è una pratica antichissima. Il massaggio aumenta l’irrorazione sanguigna della pelle ed è tradizionalmente considerato efficace per favorire l’ossigenazione e il trofismo del cuoio capelluto e dei suoi bulbi piliferi.
La massoterapia viene spesso riproposta in “moderne”,”fantasiose” ed inutili varianti come l’uso di macchinari computerizzati a coppettazione intermittente.
La ionoforesi è comunque la tecnica migliore, fra quelle non invasive, quando si vuole favorire la penetrazione di una sostanzaattiva per via trascutanea.
In conclusione dobbiamo rilevare come tutte le terapie fisiche da sole possono avere, in tricologia, solo l’utilità di un placebo, o poco più, ma talvolta possono rendersi utili per migliorare la penetrazione di sostanze farmacologicamente attive.
Poiché per la crioterapia e la fototerapia UV i confini fra dosi eritematogene e dosi citolesive sono assai ristretti, queste due tecniche dovrebbero essere riservate solo ad “operatori esperti”.
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Dietoterapia
Vi Sono dati inequivocabili per affermare che esiste una correlazione netta fra stato di nutrizione e salute dei capelli.
Nel paziente che lamenta eccessiva caduta dei capelli dovrà essere ricercato un apporto bilanciato degli aminoacidi, di tutte le vitamine e dei sali minerali.
Gli aminoacidi sono sicuramente necessari al trofismo del capillizio ed in particolare gli aminoacidi solforati in genere, la cistina, la cisteina, la metionina, e quelli della “gelatina di collagene”. Quando la dieta è carente in aminoacidi solforati i capelli diventano fragili e aumenta il numero di quelli malformati che prendono facilmente l’aspetto del moniletrix con tricorressi. La somministrazione di aminoacidi solforati, comunemente di cistina e metionina, li rende meno fragili, più morbidi e pettinabili e permette un miglioramento dello stato clinico nei casi di pseudo alopecia da rottura dei capelli per fragilità. La somministrazione di cistina e di gelatina di collagene è stata proposta anche nel telogen effluvio acuto da intossicazione e da radiazioni.
Una carenza di zinco è causa frequente, specie nella donna, di telogen effluvio cronico. Senza arrivare al quadro “raro” della dermatite enteropatica possiamo affermare che quando la zinchemia è inferiore a 0,6 mg/L la caduta di capelli, con l’aspetto clinico del telogen effluvio cronico, è costante! Una carenza di zinco potrà essere causata o da apporto alimentare insufficiente o da un difetto di assorbimento intestinale ed è spesso accompagnata da carenza di ferro e di magnesio. Il riscontro di una iposideremia quando cadono i capelli deve far sospettare una concomitante carenza di zinco, che sarà poi messa in evidenza dal dosaggio del metallo nel siero. Il più delle volte l’anamnesi mirata sulle abitudini alimentari già permette di distinguere i casi carenziali dovuti a deficit di introduzione di metallo da quelli dovuti a difetto di assorbimento intestinale. L’ipozinchemia verrà corretta dalla somministrazione, a dosi adeguatamente alte, di zinco solfato e, nei casi, non rari, dovuti a deficit di assorbimento intestinale, dovrà poi essere mantenuta costante con dosi più basse, personalizzate ed individuate mediante misurazione periodica dei livelli di zinchemia.
Anche il deficit di magnesio, se pur meno importante dello zinco, può essere causa o concausa di telogen effluvio cronico.
La somministrazione contemporanea di acido ascorbico sembra migliorare l’assorbimento intestinale dello zinco e del magnesio, come del ferro.
Una valutazione razionale del paziente che lamenta caduta dei capelli non potrà prescindere dalla osservazione del suo stato di nutrizione. Dovrà essere raccolta una anamnesi dettagliata sulle abitudini alimentari, sullo stato dell’alvo, su variazioni di peso. Spesso anche l’esame microscopico dei capelli potrà dare dati indicativi.
Altri dettagliati sull’argomento possono essere trovati nell’articolo dedicato a “DIETA E CAPELLI”.
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