Forfora e Dermatite Seborroica
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Forfora e Dermatite Seborroica

Forfora e Dermatite seborroica
Una revisione dalla letteratura
a cura della Redazione G.I.Tri.
 

 

 
 

1 – ASPETTI CLINICI ED ISTOPATOLOGICI

a – Aspetti clinici
La forfora e un processo desquamativo del cuoio capelluto che non si accompagna ad altre patologie cutanee localizzate sul capillizio od in altre sedi.
I vari studi la considerano comunque una anomalia, un difetto di varia importanza, in quanto alcune persone non presentano assolutamente la forfora (Van Ebbe, 1964; Leyden and Kligman, 1979).

La facilità di separare tale condizione dalla psoriasi e dalla dermatite seborroica e stata ripetutamente ribadita da svariati autori (es. Ackerman and Kligman, 1969) ma il motivo per cui sia lecito tenere separate le due condizioni e tuttora oscuro.
Per dimostrare la validità dei criteri diagnostici si rendono necessari semplici studi clinici che consentano ad un gruppo di clinici di esaminare con attenzione solamente il cuoio capelluto. Senza tale evidenza non si può affermare che la psoriasi e la dermatite seborroica di moderata gravità presentano aspetti clinici indistinguibili da quelli della forfora.

 

 

b – Aspetti Istopatologici
I vari reperti istopatologici sono confusi ed in contrasto tra loro. Lo studio di Ackerman e Kligman (1969) che ha stabilito una netta separazione della forfora dalla psoriasi e dalla dermatite seborroica pare essere stato successivamente ritrattato dallo stesso Kligman e collaboratori (1979), i quali, riesaminando apparentemente anche tutti i reperti istologici che avevano costituito il presupposto del loro precedente studio (Alexander, 1967; Plewig and Kligman, 1970), ritengono esistano aspetti comuni ad entrambe le condizioni.

 

 

Lo spessore dello strato corneo pare essere stato causa di innumerevole confusione, e non e da escludere che il gruppo di Kligman nutrisse esso stesso dei dubbi circa i risultati ottenuti.
Così Ackerman e Kligman (1969) riferiscono che sono necessari pochi strip con nastro di cellophane per rimuovere tutte le squame in soggetti normali e ciò potrebbe significare sia che lo strato corneo e più sottile sia che ad ogni strip ne viene allontanata una quantità maggiore.
Successivamente Kligman e altri (1979) affermano che l’esperimento originale di strip con nastro di cellophane dimostra che lo strato corneo possiede un numero inferiore di strati in caso di forfora. Sfortunatamente tale confusione e stata riportata ed amplificata in svariati lavori (es. Van Abbe et al., 1981) nonostante sia chiaro ed evidente dallo studio originale (Ackerman and Kligman, 1969) che lo strato corneo desquamante deve essere più sottile dello strato corneo normale, ma le grosse squame che vengono via sono più sottili del normale.

 

Riassumendo, gli studi sinora eseguiti non sono sufficienti ed adeguati a dimostrare se la forfora abbia o no una sua specifica connotazione istopatologica e se possa essere tenuta distinta dalla psoriasi e dalla dermatite seborroica di media gravità in base a specifici criteri clinici o istopatologici.

 

 

2 – VALUTAZIONE CLINICA
E MISURAZIONE OBIETTIVA

a – Valutazione clinica

Abbiamo a disposizione dati inadeguati per stabilire il tempo ottimale per fare una valutazione clinica dell’entità della forfora dopo
I numerosi problemi tecnici che non hanno trovato risoluzione potrebbero pertanto spiegare la considerevole differenza, ad esempio, tra Van Abbe (1981) e Kligman (1974) relativamente alle variazioni stagionali giornaliere ed eventualmente anche tra gli stessi collaboratori di uno stesso laboratorio: perciò molti dei risultati di Kligman e Plewig (1969) sono più in accordo con quelli di Van Abbe (1981) che con quelli di Kligman et al. (1974). Infine, con poche eccezioni, l’analisi statistica non fornisce risultati degni di rilievo e i trial terapeutici eseguiti a doppio cieco sono veramente pochi.b – Valutazione obiettival’esecuzione dell’ultimo shampoo. È essenziale poter stabilire l’entità di riaccumulo delle squame in rapporto alla gravità della forfora, e se in tutti i casi deve essere fatto un attento esame clinico senza badare alla gravità della forma per stabilire una graduazione clinica, ciò deve essere fatto mentre le squame si riformano in modo lineare.

Due sono i metodi principali:
1 – peso delle squame dopo separazione mediante spazzolatura o pettine (es. Vanderwyk and Roia, 1964).
2 – conta dei corneociti dopo sfregamento energico di un’area esattamente delimitata (es. Leyden, McGinley and Kligman, 1976).
Nessuna delle due metodiche può essere considerata molto valida, e d’altronde la loro riproducibilità e la loro relazione con la gravità del quadro clinico non sono ancora state adeguatamente stabilite.
La maggiore ampiezza della superficie utilizzata nel primo metodo pare poter fornire migliori risultati del secondo in primo luogo perché i corneociti sono soliti desquamare in gruppi ed in secondo luogo perché esistono differenze tra area ed area. Il secondo metodo pare inoltre fornire una sottostima perché un’adeguata separazione dei corneociti da contare e criticamente influenzata dalle dimensioni dei gruppi di desquamazione. In generale la letteratura suggerisce che l’aspetto clinico presenta una maggiore correlazione con il peso dei corneociti piuttosto che con il loro numero, ed in una recente disquisizione relativa alla conta dei corneociti Kligman e al. (1979) sostengono che le variazioni individuali nella conta dei corneociti sono troppo numerose. Che tale affermazione invalidi buona parte del lavoro del gruppo di Kligman sembra non destare particolare scalpore, in quanto precedentemente nello stesso lavoro gli autori sostengono di aver sviluppato una metodica estremamente attendibile per una valutazione oggettiva della forfora: la conta dei corneciti. Studi futuri dovrebbero essere in grado di mettere in relazione l’accumulo delle squame con un preciso lasso di tempo e con una ben determinata zona.

 

 

3 – MICROBIOLOGIA DELLA FORFORA

A dispetto della differenza tra i vari studi eseguiti, la maggioranza degli autori concorda nell’affermare che i principali organismi che si riscontrano sono i batteri aerobi, il bacillo dell’acne e svariati Pitirospori (Reddish, 1952; Vanderwyk and Roia, 1964; Roberts, 1969; Vanderwyk, 1969; McGinley et al., 1975; Leyden et al., 1976; Priestley and Savin, 1976; Leyden and Kligman, 1979 e altri). La presenza più frequente e indubbiamente quella del Pytirosporum Ovale, e tanto più grave e la desquamazione tanto maggiore e il numero di microrganismi reperibili. Non e nota la relazione con gli altri Pitirospori; parimenti non si conosce la relazione con microrganismi di superficie o a localizzazione follicolare e con forme libere e filamentose. Ne consegue che per molti anni il punto fermo della microbiologia della forfora è stato la stretta relazione tra la forfora e la costante presenza del Pytirosporum Ovale (es. keddish, 1952).

 

 

4 – PYTIROSPORUM OVALE:
PRIMARIO O SECONDARIO?

Esistono a tale proposito svariati studi di diverso tipo. La maggioranza di essi tenta di risolvere il problema utilizzando antibiotici e si tratta comunque per lo più di studi aperti condotti su un numero ristretto di pazienti. Ciononostante è difficile sottrarsi alla conclusione che il Pytirosporum è la causa immediata della squamosità e non viceversa. Gli unici dati che supportano la tesi contraria sono quelli del gruppo di Kligman (Ackerman and Kligman, 1969; Kligman et al., 1974; Leyden et al., 1975; McGinley et al., 1975; Leyden et al. 1976) e del gruppo di Imokawa (1981) che tratteremo successivamente. In generale una diminuzione della forfora (valutata clinicamente o misurata in termini di desquamazione) ed una diminuzione del Pytirosporum Ovale è stata riscontrata dopo trattamento con sulfide di selenio (Leyden et al., 1976; Leyden and Kligman, 1979), zinco piritione (Imokawa Ct al., 1981), anfotericina (Barber, 1977), nistatina (Vanderwyk and Roia, 1964), ed econazolo (AronBrunetier, Dompmartin-Pernot and Droubet, 1977).
L’unico punto in comune tra tutti questi trattamenti consiste nella loro azione antimicotica. Trattamenti antimicrobici sembrano invece essere inefficaci (Leyden et al., 1976; Leyden and Kligman, 1979), ma persiste tuttora il dubbio se sia in causa o no un ruolo secondario dei batteri. La fondamentale osservazione dell’effetto terapeutico degli agenti antimicotici è stata resa possibile dall’esecuzione di numerosissimi studi con talmente tanti differenti protocolli che ogni possibile errore deve essere considerato di scarsa importanza. E ciononostante, esaminando i risultati discordanti di alcuni lavori di Kligman e collaboratori, si rendono possibili differenti spiegazioni. Il disegno sperimentale era carente sotto molti punti di vista: i gruppi studiati erano piccoli e ciò non veniva compensato mediante un esecuzione dello studio in doppio cieco; il procedimento statistico è rudimentale (Leyden Ct al., 1976) mancando un’analisi sequenziale dei piccoli gruppi esaminati; il metodo della conta dei corneociti successivamente accettato (Kligman et al., 1979) non aveva alcuna correlazione con l’aspetto clinico. Nonostante tute queste carenze, gli autori (es. Leydenet al., 1976) sono stati in grado di dimostrare una diminuzione tanto del Pytirosporum Ovale che della Forfora con sulfide di selenio (Kligman Ct al,, 1979) e con zinco piritione (Ackerman and Kligman, 1969; Leyden Ct al., 1976; Leyden and Kligman, 1979). La base effettiva della loro conclusione che il Pytirosporum Ovale non è la causa della forfora consiste in realtà nella loro incapacità di dimostrare una diminuzione della forfora quando il Pytirosporum Ovale diminuisce con I’applicazione topica di anfotericina (Leyden Ct al., 1976).
Il loro insuccesso con la nistatina in pochi pazienti è insufficiente per dimostrare l’inefficacia della stessa. Rifiutare l’ipotesi del Pytirosporum Ovale sulla base di questo singolo risultato negativo non è possibile, anche perché la maggioranza degli studi ha fornito risultati estremamente positivi.
Alla luce di tutti gli altri studi condotti con agenti antimicotici una considerazione degna di essere fatta è che probabilmente la preparazione utilizzata non è stata in grado i raggiungere una sufficiente attività antifungina dove necessario. In questa ottica una diminuzione del numero degli organismi di superficie può di sicuro essere correlato solo alla lontana con ciò che si verifica nell’infezione del dotto pilosebaceo. In un attento riesame di tale problema mediante metodiche quantitative ed utilizzando un protocollo a doppio cieco che compari l’azione dell’anfotericina a quella di un placebo, con gruppi di 22 pazienti ciascuno, è possibile valutare come ci sia una evidente e misurabile risposta clinica della forfora e della conta del P Ovale in seguito all’applicazione tanto di anfotericina che di uno shampoo di Head and Shoulders (Barber, 1977).

 

 

a – Esperimenti “Half-Scalp”
Nonostante siano poco numerosi e con numerose imperfezioni tecniche perché sono di tipo “self-controlled”, mostrando la forfora in miglioramento sulle zone del capillizio trattate con antimicotici (es. con nistatina), tali studi forniscono una buona evidenza circa il ruolo del P. Ovale (Vanderwyk and Hachemy, 1967). L’obiezione che è stata fatta a questo tipo di esperimenti (Kligman Ct al., 1974) è il rischio di traslocazione dei principi attivi; ma la traslocazione è chiaramente irrilevante in quanto potrebbe solo spiegare l’assenza di una differenza significativa. Conseguentemente il fatto che ci sia una differenza dovrebbe essere considerato un’evidenza pratica contro l’esistenza di una significativa traslocazione degli agenti terapeutici.

b – Esperimenti di Gosse e Van Der Wyke (1969)
Sono esperimenti particolarmente degni di nota perché dimostrano che nonostante l’uso prolungato di un agente antimicotico quale la nistatina, una reinfezione sperimentale del capillizio mediante un ceppo di Pytirosporum Ovale resistente alla nistatina comporta una recidiva della forfora in pazienti che avevano precedentemente risposto alla nistatina. Tale validissimo esperimento non ha peraltro ricevuto tutta l’attenzione che sicuramente merita. Esso dimostra con estrema semplicità che è la presenza o l’assenza del solo micete ad essere critica e rappresenta una delle più evidenti affermazioni contro la convinzione che gli agenti antiforfora agiscano mediante un meccanismo di tipo citostatico.

c – Esperimenti di Imokawa et al.(1981)
Tali esperimenti forniscono una recente evidenza della relazione tra il P. Ovale e la forfora con gli effetti dello zinco piritione. Sfortunatamente si tratta di esperimenti mediocri confusi da una mediocre interpretazione, ma proprio perché potrebbero confondere il quadro che emerge da altre evidenze devono essere considerati in dettaglio. La conta dei corneociti veniva eseguita con la metodica di Leyden et al. (1976) che presenta una scarsa riproducibilità, molti dei gruppi sono piccoli, lo studio è di tipo aperto ed i dati statistici sono dubbi. Mentre in generale essi sembrano associare il P. Ovale e la forfora, hanno molte riserve che derivano sia da difetti dello studio sia da una cattiva interpretazione della dissociazione tra microrganismo e conta delle squame durante e dopo il trattamento:
1 – la ricorrenza del P. Ovale prima della desquamazione quando il trattamento viene sospeso per una settimana ma viene continuata l’applicazione di shampoo non medicati rappresenta un ritardo (es. Vanderwyk and Roia, 1964) nel tempo di formazione delle squame ed in nessun modo ciò può contrastare il ruolo patogenetico del P. Ovale;
2 – l’aumento della desquamazione senza un aumento del P. Ovale quando ogni tipo di shampoo (medicato e non medicato) viene sospeso per 6 giorni non mette in discussione allo stesso modo il ruolo eziologico del P. Ovale. In assenza dell’applicazione di qualsiasi tipo di shampoo, l’agente antimicotico (zinco piritione) verrà lasciato sui capelli e sul cuoio capelluto e la conta del P. Ovale continuerà Conseguentemente a rimanere bassa, a differenza di quanto accade quando viene utilizzato uno shampoo non medicato che comporta eliminazione mediante lavaggio dello zinco piritione. L’aumento della desquamazione che si può osservare rappresenta semplicemente un suo maggiore accumulo in una zona del capillizio non sottoposta a lavaggio con shampoo.
Il controllo fondamentale, benché omesso, era rappresentato dalla stessa quantità di squame che si sarebbero formate se il capillizio fosse stato lasciato per un tempo comparabile senza lavaggi con shampoo prima del trattamento;
3 – infine, l’evidenza sulla quale è basata la precedente affermazione, è ottenuta mediante un trattamento curioso se non addirittura inaccettabile.
Pertanto le riserve (di Imokawa Ct al. (1981) non sono accettabili ed infatti i loro risultati, per mediocri che siano, relativi all’associazione del P. Ovale e della forfora e di una loro diminuzione dopo trattamento con zinco piritione ben si accordano con l’ipotesi del P. Ovale.
Pochi sono gli studi condotti su animali Reddish (1952) descrive studi di Durfee e Cousins (1936) relativi alla produzione di forfora infettante mediante infezione per via topica della cute del coniglio con P, Ovale e relativo trattamento con topici antisettici, sebbene la risposta dell’organismo abbia nel coniglio l’aspetto di psoriasi. Pertanto le conclusioni che derivano dalla revisione di questa parte della letteratura sono le seguenti:
1 – il P. Ovale è il più comune microrganismo quantitativamente associato alla forfora;
2 – una diminuzione del P. Ovale da parte di un ampio spettro di agenti antimicotici Comporta una diminuzione sia dell’aspetto clinico della forfora sia della misurazione oggettiva della desquamazione;
3 – la ricolonizzazione con il microrganismo comporta la ricomparsa della forfora;
4 – questi risultati indicano chiaramente che il P. Ovale è la causa e non la Conseguenza della forfora.

5 – STUDI Dl CINETICA

La convinzione che la modalità d’azione dei svariati agenti antimicotici sulla forfora sia di tipo citostatico e non legata alla loro azione sul P. Ovale è stata proposta dal gruppo di Kligman quando non sono riusciti a dimostrare il miglioramento della forfora con l’applicazione topica di anfotericina (Leyden Ct al., 1976; Kligman et al,, 1979), nonostante essi, al pari di altri, riscontrino un miglioramento col sulfide di selenio e con lo zinco piritione. Patta eccezione per Imokawa et al. (1981), altri autori supportano quel punto di vista. Ancora nessuno
dei lavori che sostengono l’esistenza di un meccanismo di tipo Citostatico forniscono soddisfacente evidenza che gli agenti antimicotici agiscono mediante virtuale soppressione della replicazione delle cellule epidermiche.

a – Esiste nella forfora un aumento del turn-over delle cellule epidermiche?
Pochi argomenti sono stati studiati, per lo più mediante misurazione dell’indice mitotico o valutazione della percentuale di cellule basali captanti timidina coniugata (Plewig and Kligman, 1969; Leyden and Kligman, 1979): entrambe le metodiche sono però imprecise. Ciononostante i risultati sembrano suggerire un aumento della produzione cellulare. Tuttavia i cambiamenti
sono di minima entità e se fosse eseguita una correzione per la paracheratosi focale (Kligman et al., 1979), non è chiaro se il cambiamento mitotico verrebbe riscontrato nella cute tra la paracheratosi focale come Ci si aspetterebbe in un “disordine primitivo di iperproliferazione”.
Sembra, pertanto, che la presenza dell’aumentato turn-over cellulare e la sua entità debbano essere stabiliti mediante tecniche di citocinetica in relazione alla gravità e nelle aree di desquamazione paracheratosica e nelle aree non paracheratosiche adiacenti. Infine l’importanza eziologica del difetto addotto può essere evidenziata solo dimostrando la sua specificità in confronto alle altre dermatosi desquamanti del cuoio capelluto.

h – L’aumentato turn-over cellulare è primitivo o secondario?
Non esistono evidenze che ci consentano di affermare che l’aumentato turn-over cellulare rappresenti il difetto primario nella forfora. Né d’altro canto esiste evidenza che i differenti agenti antimicotici che sono efficaci nella forfora abbiano un azione citostatica se usati in vivo su cute normale in una concentrazione efficace nella cura della forfora. Pertanto la dimostrazione che un agente antimicotico diminuisce l’attività mitotica del cuoio capelluto affetto da forfora è inadeguata in quanto ciò potrebbe essere semplicemente secondario all’eradicazione dell’infezione da P.
Ovale. Come gli stessi Plewig e Kligman hanno sottolineato (1969) gli studi devono essere condotti su un’epidermide il cui turn-over sia inizialmente normale. Sfortunatamente essi non hanno fatto ciò e l’indice nel controllo dei capillizi da essi studiati era pari al 10%, indicando ciò un apprezzabile aumento dell’attività mitotica e comparabile a quello da essi precedentemente riscontrato in pazienti con forfora. La spiegazione di tale risultato sta nel fatto che i loro normali avevano una desquamazione riscontrabile in una forfora di media gravità con un aumento della Conta dei Corneociti. Ciò non è sorprendente. Il cuoio capelluto nella maggior parte dei maschi adulti normali alberga il P. Ovale; molti hanno una desquamazione indistinguibile dalla forfora tranne che per un criterio quantitativo (es. Van Abbe, 1964; Leyden and Kligman, 1979) e Plewig e Kligman ammettono di aver trovato difficoltà nel reclutare individui senza segni cIinici di forfora, Questo studio di Plewig e Kligman (1969), tanto osannato, può comunque essere Criticato per la mediocrità del disegno, per la scarsità di numero di pazienti, con una immensa variabilità nella conta dei corneociti.
Per via dell’ubiquità del P. Ovale e della forfora sarebbe difficile eseguire esperimenti degni di credito anche su cuoio capelluto apparentemente normale, Ciò è evidente dal cambiamento della conta dei corneociti dopo trattamento con sulfide di selenio o zinco piritione in soggetti non affetti da or ora (Leyden et al., 1975).
Perciò per stabilire che l’effetto degli agenti antiforfora si esplica primariamente sulla divisione cellulare conseguente all’infezione da P. Ovale, gli studi potrebbero essere condotti solo su pochi capillizi non colonizzati dal P. Ovale (o dopo eradicazione del microrganismo con agenti la cui modalità d’azione non sia un meccanismo di tipo citostatico), oppure su cute normale ma lontana dal cuoio capelluto, come per esempio la cute pelosa dell’avambraccio. In assenza di tali studi non è possibile dimostrare un meccanismo d’azione citostatico degli agenti antiforfora e pare ragionevole affermare che l’effetto sulla forfora di agenti a differente struttura chimica sia legato all’azione antifungina che essi hanno in comune.
E opportuno sottolineare:
1- che sono stati fatti studi sistematici sull’effetto di farmaci indubbiamente citostatici nella forfora; la maggioranza dei lavori sono stati fatti solo per dimostrare che pochi selettivi agenti antifungini hanno attività citostatica;
2 – che anche se i farmaci citostatici fossero attivi contro la forfora ciò non contrasterebbe con il ruolo primario dell’infezione fungina in quanto essi potrebbero semplicemente bloccare una delle conseguenze dell’azione fungina;
3 – c’è un evidenza clinica che gli agenti citostatici potrebbero peggiorare le infezioni fungine.

c – Considerazioni teoriche
“… la forfora è un disturbo della proliferazione” (Leyden and Kligman, 1979). L’assurdità dell’argomentazione citostatica è ancora più evidente ammettendo la validità di tale affermazione. Diventa perciò immediatamente necessario spiegare la non casualità dell’associazione del micete e della forfora così come una ragione indipendente dell’aumentato turn-over cellulare.
Se, come implica il meccanismo citostatico, l’aumentato turn-over cellulare è primario ed è evidente sulla testa e non sul resto del corpo, si arriva ad una definizione della forfora come “primitivo disturbo iperproliferativo del capillizio con una specifica suscettibihtà all’infezione asintomatica da P. Ovale”.

 

6 – MODALITÀ D’AZIONE DEGLI AGENTI ANTIFUNGINI
NELLA FORFORA

Esistono differenti agenti chimici in rado di migliorare la forfora ed il loro unico effetto comune Si esplica sul P. Ovale e su miceti affini. La loro precisa modalità d’azione può essere molto differente: il piritione, per esempio, agisce sul trasporto di membrana e su altri aspetti della struttura cellulare (Chandier and Segei, 1978).

 

7 – MISCELLANEA

Esistono numerosi studi relativamente mediocri, relativi ad esempio alla relazione esistente tra l’azione
antifungina sul sebo e la produzione di sebo; gli studi negativi di Kligman et al. (1979) sono in particolare poco convincenti, L’importanza di uno studio sugli acidi grassi (Marples et al., 1972) non è chiara ed il proposito di studiare l’effetto di estratti di pytirosporum su orecchio di coniglio (Weary, 1970) sarebbe più chiaro se solo i comedoni fossero presenti sul capillizio di coniglio. Parimenti, studi sull’effetto di iniezioni intradermiche di estratti fungini, sul ruolo del sistema immunitario, sull’attivazione del complemento, ecc., dovrebbero essere eseguiti prendendo in attenta considerazione i fattori dell’ospite e la risposta immunitaria.

 

RIMANENTI QUESITI
Le domande che ancora necessitano di una risposta sono:
1 – in che modo l’infezione conduce alla desquamazione?
2 – quale è la base della individuale suscettibilità all’infezione del P. Ovale ed alla forfora?
3 – quale è il ruolo di questa infezione in altre patologie? Quanti eczemi seborroici derivano dalla colonizzazione del P. Ovale?
L’avvento di nuovi potenti farmaci antifungini come il chetoconazolo ed il climbazolo può fornire una valida risposta.

 

 

 

CONCLUSIONI
La dissociazione clinica ed istopatologica della forfora dall’eczema seborroico precoce e dalla psoriasi non è stata fatta. Il P. Ovale è il più comune microrganismo associato alla forfora: rimuovendolo la forfora migliora, la sua ricolonizzazione provoca una recidiva della forfora. Come il P. Ovale provochi la forfora non è chiaro; la flogosi e la desquamazione con un aumento della produzione cellulare rappresentano un risultato finale Non c’è evidenza che gli agenti antifungini agiscano sulla fo ora in altro modo che diminuendo il numero o l’attivita della popolazione fungina ed i pochi esperimenti a favore di un primario ruolo antimitotico non sono accettabili.

N.d.R.: questo Commento di Sam Shuster è complesso (in alcuni punti anche poco chiaro) ma decisamente in “controtendenza” rispetto alla maggior parte dei lavori esistenti sulla forfora. Ci è parso corretto, comunque, far conoscere diverse opinioni sull’argomento.

 

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