Speciale Androgenetica
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Speciale Androgenetica

dr. Andrea Marliani
presidente Fondatore della Società Italiana di Tricologia
docente presso la Scuola Internazionale di Medicina Estetica FIF
docente presso il corso di laurea in Informazione Scientifica sul Farmaco dell’Università degli studi di Firenze
dermatologo – endocrinologo
in Firenze
 

 

ALOPECIA ANDROGENETICA
“Calvizie Comune”
 

 

 
 

Definizione e generalità

È la più frequente delle alopecie definitive non cicatriziali: da cui il termine di “Calvizie Comune”.
L’Alopecia Androgenetica è condizione cronica, geneticamente determinata, caratterizzata dalla progressiva involuzione in miniaturizzazione dei follicoli piliferi del cuoio capelluto e dei capelli che ne derivano.
È detta anche, con termini sempre inadeguati, seborroica, precoce, maschile. Lo stesso termine di “androgenetica” è da considerare comunque riduttivo.
L’alopecia androgenetica è la conseguenza del Defluvio Androgenetico che consiste in una progressiva superficializzazione, depigmentazione e miniaturizzazione fino alla totale atrofia, dei follicoli dei capelli dell’area frontoparietale e del vertice.
Clinicamente è definita (secondo Hamilton) da un progressivo arretramento della linea di inserzione dei capelli, dalla apertura degli angoli frontoparietali (stempiatura) che dà alla linea frontale la caratteristica forma maschile a M, dalla lenta perdita dei capelli del vertice fino al coinvolgimento alopecico di tutta la parte alta del cuoio capelluto con tipico risparmio della nuca e delle zone temporali sopra auricolari, per arrivare infine alla “calvizie a corona”.
L’alopecia androgenetica è accompagnata spesso ma non costantemente da seborrea e desquamazione furfuracea.

È ormai accettato che il complesso follicolo-pilo-sebaceo, con le sue funzioni e disfunzioni, è condizionato dallo stimolo androgeno.
L’alopecia androgenetica è sostenuta dalla presenza dei normali ormoni androgeni nel plasma, da una ereditarietà multigenica familiare (da cui il termine androgenetica), dalla attività nei follicoli piliferi di enzimi capaci di convertire gli androgeni in ormoni attivi verso il follicolo stesso. In particolare risulta determinante l’attività dell’enzima 5-alfa-reduttasi, convertitore del testosterone in diidrotestosterone (DHT).

 

Riferimenti:

Bertamino R.: “Alopecie” in: Serri F. (Eds) “Trattato di dermatologia” Piccin, Padova, 1987, cap.75: 1.

Ebling F.J., Rook A.: “Hair” in: RooK A. (Eds) “Textbook of dermatology” ed. 2. Blackwell, Oxford, 1968: 1355.

Marliani A.: “La calvizie comune” SIMCRE, Firenze, 1986: 31-32.

Monacelli M., Nazzaro P.: “Alopecia” in: “Dermatologia e venereologia” ed. 2. Vallardi, Milano, 1967.

Moretti G, Bertamino R.: “Alopecia” in: “Enciclopedia medica italiana” ed. 2. USES, Firenze, 1973 vol. I°: 1336 – 1351.

Simpson N.: “Classificazione e trattamento delle alopecie” in: “Dermatology: Clinical Update” Upjohn, 1986.

Solaroli C: “Alopecie” in: “Cosmetologia dermatologica” Piccin, Padova, 1981: 11.

 

 

Epidemiologia
a cura di Daniele Campo

Studi epidemiologici ufficiali sulla alopecia androgenetica, di solito considerata più un problema estetico che sanitario, non sono mai stati effettuati. Inoltre, la maggior parte dei dati disponibili sono basati su piccoli campioni non randomizzati che, per di più, usano spesso classificazioni diverse: di Hamilton, di Norwood, di Ebling, di Camacho, di Ludwig (per le donne) oppure quella di Savin (Rushton, 1999).
Comunque l’incidenza della perdita dei capelli a tipo androgenetico si avvicina, nel corso della vita, al 100% negli uomini di razza caucasica.
I primi dati percentuali su età e modalità della perdita dei capelli risalgono ad Hamilton. Secondo Hamilton nel 96% degli uomini e nel 79% delle donne dopo la pubertà, si riscontrano i segni di iniziale perdita di capelli evidenziata da un arretramento uniforme della linea di inserzione frontale (tipo Il della scala di Hamilton). Questo tuttavia non significa necessariamente l’inizio della vera alopecia androgenetica né rappresenta il primo stadio della calvizie: in questo caso noi preferiamo parlare di “Alopecia Frontoparietale Fisiologica”. Lo stesso Hamilton rileva l’esistenza di una alopecia più pronunciata (grado V – VII della scala di Hamilton) nel 58% degli uomini di oltre 50 anni.
Anche secondo uno studio successivo di Norwood si ha calvizie di tipo maschile in oltre il 50% degli uomini adulti.
Una percentuale simile (42%) è stata ottenuta, tramite autovalutazione, in uno studio sulla calvizie in relazione all’infarto del miocardio su 772 uomini tra i 24 ed i 54 anni (Lesko, 1993).
Sono state osservate anche rilevanti differenze razziali: gli uomini di razza nera hanno una probabilità quattro volte più elevata di avere una folta capigliatura rispetto ai caucasici. Gli uomini orientali hanno una più bassa incidenza di perdita di capelli a tipo maschile rispetto ai caucasici ed un inizio di alopecia ritardato; addirittura, nei maschi cinesi, la perdita dei capelli risulta non comune, di solito lieve e più tardiva. È probabile, ma finora non confermato, che queste differenze razziali siano presenti anche nella popolazione femminile.
Nel maschio l’alopecia comincia, di norma, dopo la pubertà, verso i 18 – 20 anni, con una recessione simmetrica biparietale, spesso accompagnata da una netta perdita di capelli all’inserzione sulla fronte.
Solo nelle forme più gravi, descritte da Vera Price come “forme precoci” (EAGA = Early Andro Genetic Alopecia) e definibili anche come “Ipotrichia Ereditaria Semplice”, l’alopecia inizia già verso i 15 – 18 anni con un decorso molto più rapido che poi porta allo stadio estremo della calvizie ippocratica (stadio IV e V di Hamilton) prima dei 25 anni.

 

 

 

 
Nella donna la calvizie ha un inizio più tardivo, una progressione molto più lenta con diradamento diffuso, meno evidente e più ampio sul cuoio capelluto; inizia, di solito, dieci anni più tardi, talvolta a seguito di alterazioni ormonali, gravidanze, menopausa, dopo l’uso di estroprogestinici o in seguito ad importanti variazioni ponderali. Resta comunque da stabilire se quella della donna sia una vera alopecia androgenetica o qualcos’altro.
È da stabilire anche se l’alopecia androgenetica sia una malattia vera e propria o una condizione parafisiologica in parte anche dovuta all’invecchiamento cronologico, cioè all’invecchiamento intrinseco. Non esiste molta letteratura sull’argomento ma si può citare un lavoro di Kligman, nel quale si distinguono e si comparano due situazioni, l’alopecia androgenetica e la “alopecia da invecchiamento” (AIA = Aging Alopecia). Secondo Kligman l’alopecia androgenetica è familiare, si presenta prima dei 50 anni, colpisce il vertice del cuoio capelluto con assottigliamento evidente del fusto del capello e diradamento del capillizio ed arriva a portare la cute ad essere completamente glabra. L’istologia ci mostra un follicolo miniaturizzato e dislocato in piani sempre più superficiali che da origine ad un capello sempre più sottile, più corto ed in parte depigmentato. Nella “alopecia da invecchiamento” l’assottigliamento del fusto del capello inizia solo dopo i 50 anni d’età e non vi è evidente familiarità nella sua origine. Il diradamento interessa tutta la capigliatura e non esita mai in un cuoio capelluto completamente glabro. Istologicamente si rileva che il follicolo, pur essendo più piccolo rispetto a quelli presenti in un soggetto giovane con tutti i suoi capelli, non arriva mai alle ridotte dimensioni dei follicoli colpiti da alopecia androgenetica e non sembra interessato, a differenza di quanto avviene nella alopecia androgenetica vera, da importanti fatti infiammatori.
Con l’avanzare dell’età, le due condizioni finiscono comunque per coesistere.

 

Riferimenti:

Hamilton J.B.: “Patterned loss of hair in man: types and incidence” Ann. NY Acad. Sci 1951; 53: 708.

Norwood O.T.: “Male pattern baldness: classification and incidence” South Med. J. 1975; 68: 1359.

 

 

Fra ereditarietà e difetto enzimatico

La patogenesi dell’alopecia androgenetica è ancora in gran parte sconosciuta ma è ormai accettato che sia dovuta ad un messaggio genetico che per realizzarsi ha bisogno degli ormoni maschili (Hamilton). Il genotipo (l’ereditarietà per calvizie) diventa cioè fenotipo (la calvizie si manifesta clinicamente) solo in presenza di androgeni. Numerosi studi, da Hamilton in poi, hanno confermato che in assenza di androgeni l’ereditarietà per calvizie maschile non si manifesta, per questo motivo si parla di “androgenetica”.
I livelli ormonali necessari a provocare la calvizie sono quelli normali del maschio adulto sano. Nei maschi calvi non c’è alcuna alterazione degli androgeni ed i valori ormonali sono identici a quelli dei soggetti non calvi. Solo nelle donne calve si può talvolta riscontrare un eccesso di ormoni maschili. Maschi precocemente castrati non vanno incontro a calvizie (Hamilton).
Le ricerche sull’ereditarietà della calvizie sono rese difficili dal fatto che il carattere sembra avere una penetranza estremamente variabile. Se in un albero genealogico è facile definire calvo chi ha una vera calvizie, assai più difficile è inquadrare chi presenta solo un diradamento, magari lieve. Comunque anche la sola esperienza di ogni giorno ci fa vedere che molti alberi genealogici presentano una successione di individui calvi e che il figlio di un calvo ha molte probabilità di diventare a sua volta calvo: ciò dimostra che la calvizie è ereditaria.
Per quanto le modalità di trasmissione del “carattere calvizie” non siano ancora ben definite e sia ormai chiaro che questo carattere è l’espressione di un mosaico di geni, possiamo a fini pratici ancora accettare un modello, peraltro inesatto, secondo il quale un singolo paio di geni autosomici (CC) controllerebbe il carattere calvizie nel seguente modo:

 

 genotipo  fenotipo M  fenotipo F
 CC  calvo  calva
 Cc  calvo  non calva
 cc  non calvo  non calva

 

 

Gli uomini (M) omozigoti o eterozigoti per il gene autosomico C perderanno pertanto i capelli; le donne (F) invece perderanno i capelli solo se omozigoti CC.
Il gene C si comporta quindi come dominante nel maschio e come recessivo nella donna. Possiamo pertanto ipotizzare che il gene C manifesti il suo effetto solo in presenza degli ormoni androgeni; gli eunuchi ben raramente diventeranno calvi, mentre donne portatrici di tumori ormonosecernenti possono sviluppare un androgenismo e diventare calve anche in pochi mesi.
Nel mondo animale sono ben conosciuti modelli genetici analoghi: un esempio è quello delle corna della pecora che crescono solo in presenza di ormoni maschili.
Nel maschio la possibilità di diventare calvo è pertanto notevolmente superiore rispetto alla femmina ed il target è rappresentato dalla media fra lo stato del padre e la situazione del nonno materno a 40 anni.
Una donna può avere una vera alopecia androgenetica solo se il padre e la madre ne sono affetti.

Dal punto di vista pratico ad un giovane che lamenta caduta dei capelli e teme una futura calvizie (ma che non presenta ancora un’obbiettiva ipotrichia) chiederemo notizie sullo stato dei capelli del padre e del nonno materno. Ci impegneremo in una vera terapia solo nel caso che risulti dalla anamnesi una ereditarietà per calvizie. Un tricogramma, un esame microscopico dei capelli in luce polarizzata, un esame dei capelli caduti ci potranno fornire altre informazioni. Se non risulterà esserci un’ereditarietà per calvizie e se gli esami che abbiamo ricordato risulteranno nella norma, il nostro giovane paziente dovrà accontentarsi di un sano placebo.

 

Riferimenti:

Hamilton J.: “Male hormone stimulation is a prerequisite and an incitant in common baldness” American J of Anatomy 1942; 71 :451.

Porter P.S., Lobitz W.C. Jr: “Human Hair: a genetic marker” Br J Dermatol 1970; 83: 225 – 41.

Villena A, Alcaraz M.V., Perez De Vargas I.: “DNA determination of human hair bulbs in normal and androgenetic alopecia” J Cutaneous Pathol 1994; 21/4: 339 – 342.

 

 

Fisiologia endocrino metabolica
a cura di Paolo Gigli

Mentre la differenziazione dei peli in terminali o vellus, la sintesi della cheratina e la moltiplicazione delle cellule della matrice del capello sono sotto il controllo e l’interazione di fattori di crescita stimolanti ed inibenti, il ciclo anagen-catagen-telogen è controllato dagli steroidi sessuali e dal metabolismo del glucosio.

Conviene qui ancora ricordare quelli che sono i meccanismi di regolazione della vita ciclica del capello rimandando anche al capitolo “FISIOPATOLOGIA ENDOCRINO-METABOLICA DEL CAPELLO E DEL PELO”.

 

 

Esistono tre vie di controllo della crescita del pelo: una steroidea, l’altra metabolica e la terza autocrino-paracrina.

Riferimenti:

Marliani A.: “MANUALE di TRICOLOGIA” – diagnostica e terapia – Firenze, TricoItalia: fascicolo 2 – 2003.

 

Controllo steroideo

Qualunque sia l’ormone androgeno che dal sangue passa all’interno della cellula germinativa del capello (tricocheratinocita), una tappa metabolica imprescindibile è sempre la formazione di testosterone. Un enzima, 5-alfa-reduttasi, trasforma il testosterone in diidrotestosterone (DHT) ormone realmente attivo sul capello che, all’interno del citoplasma della cellula, si lega ad un recettore citosolico, viene in qualche modo attivato e penetra con questo nel nucleo; qui se il messaggio ormonale trova il recettore specifico sul DNA (acido desossiribonucleico), viene decodificato e, tramite la formazione di un mRNA (acido ribonucleico messaggero), trascritto secondo il messaggio del DNA stesso, determina la qualità dell’anagen e la miniaturizzazione del capello.

 

 
Alcune zone, margini laterali e posteriori del cuoio capelluto, perché non sensibili a quest’ormone, non diventano quasi mai calve. La trasformazione del pelo lanuginoso in pelo terminale all’epoca della pubertà è attribuibile ad un aumento degli androgeni circolanti ed allo specifico metabolismo del testosterone a livello dei follicoli piliferi. Il DHT poi ancora 3-alfa ridotto a 3-alfa androstandiolo, a sua volta captato da uno specifico recettore e penetrato nel nucleo, provoca dopo trascrizione nucleare l’attivazione secretoria della ghiandola sebacea (seborrea).
In molti giovani queste trasformazioni fisiologiche potranno portare ad acne, irsutismo, seborrea, defluvio androgenetico ecc.
Secondo alcuni autori l’attività 5-alfa-reduttasica del cuoio capelluto affetto da calvizie sarebbe più elevata per cui si può avere accumulo di diidrotestosterone anche in assenza di incremento ormonale nel sangue (dove si ritrova il metabolita 3-alfa ridotto, il 3-alfa androstandiolo già menzionato, indice della attività 5-alfa-reduttasica).

 

 

 

Controllo metabolico

Interessa la produzione dell’energia necessaria alla sintesi delle proteine per la “costruzione” del capello e alla riproduzione delle cellule germinative. Questo meccanismo funziona utilizzando il glucosio, la cui demolizione, attraverso i meccanismi di glicolisi, shunt dei pentosofosfati e ciclo di Krebs, porta alla formazione di varie molecole di ATP (adenosintrifosfato), cioè di energia. Per utilizzare il glucosio occorre l’intervento di una proteina-chinasi che può essere attivata direttamente (da un fattore di crescita che provvisoriamente possiamo chiamare Hair Growth Factor, HGF, forse dall’ormone somatotropo e forse anche dal minoxidil che mimerebbe l’effetto dell’HGF) o indirettamente attraverso uno specifico recettore che ricevuto lo stimolo (estrone, tiroxina, istamina, catecolamine beta-1-adrenergiche ecc), in presenza di prostaglandine (PGE2) attiva un enzima, l’adenilciclasi, che trasforma l’ATP in AMPc (adenosinmonofosfato-ciclico) responsabile appunto dell’attivazione stessa (la reazione necessita dello ione magnesio).
La proteina-chinasi-attiva, attraverso un meccanismo a cascata di vari sistemi enzimatici (la reazione necessita dello ione calcio), avvia infine la glicolisi.
L’enzima adenilciclasi è attivato dall’estrone, inibito dal diidrotestosterone e dalle catecolamine alfa adrenergiche (che aumentano ad esempio nello stress con conseguente caduta dei capelli).

 

 

Controllo autocrino-paracrino

La moltiplicazione delle cellule della matrice del capello è attivata da un ormone ad azione locale, un fattore di crescita (Hair Growth Factor) che esse stesse producono, e frenata da un calone (ormone inibitorio) prodotto dalla papilla dermica e probabilmente individuabile nel Transforming Growth Factor beta.
L’interazione fra HrGF e TGF beta determina la dimensione e la struttura del pelo (ed in parte la sua profondità nel derma e la durata dell’anagen).
Ad ogni catagen la matrice del capello degenera e la papilla dermica si deconnette dal bulbo. Una colonna sacciforme di cellule epiteliali circondate da quello che resta della guaina epiteliale esterna rimane dapprima a collegare il bulbo con la papilla, poi questo sacco si stacca dalla papilla e risale fino a livello dell’istmo, prende contatto con la zona protuberante ed in qualche modo attiva la produzione di HrGF dalle cellule germinative del bulge. I cheratinociti staminali presenti nel bulge entrano in rapida moltiplicazione, migrano di nuovo verso il basso, ricolonizzano la zona della matrice e riprendono contatto con la papilla dermica che ne controlla la moltiplicazione mediante l’azione del TGF beta. Così inizia il nuovo anagen. La produzione di HrGF da parte delle cellule del bulge è verosimilmente attivata dall’estrone, abbondantemente prodotto dal metabolismo del follicolo dalla fine dell’anagen.

 

 

Da queste poche conoscenze essenziali nascono le possibilità attuali di terapia “endocrina” dell’alopecia androgenetica.
Dunque la calvizie “androgenetica” è ereditaria, a carattere dominante con penetranza incompleta androgenodipendente!
Ma quello che si eredita è verosimilmente un difetto (o un “atteggiamento” ?) enzimatico a livello della matrice del pelo: un eccesso di attività di NADP reduttasi, un deficit di 17-beta-steroido-ossido-reduttasi, di 3-alfa-idrossi-steroido-deidrogenasi (3-alfa-reduttasi) oppure di aromatasi possono provocare la calvizie maschile.
Un deficit di 3-alfa-steroido-deidrogenasi o di aromatasi possono provocare la calvizie femminile.

Il diverso atteggiamento enzimatico delle cellule del follicolo pilosebaceo indirizza in modo diverso o addirittura contrario il metabolismo degli steroidi in zone diverse del cuoio capelluto o in zone diverse del corpo con la conseguenza che una diventa glabra, una pelosa, una indiffereante ad un medesino stato ormonale.

Un deficit enzimatico può venire parzialmente corretto somministrando gli steroidi a valle del blocco, ma anche così la via metabolica resa prevalente dalla carenza enzimatica rimane preferenziale e non si corregge l’eccesso di produzione di diidrotestosterone ed androstandiolo se non inibendo anche la 5-alfa-reduttasi e/o la NADP reduttasi.

 

 

 

Riferimenti

Farthing M.J., Mattei A.M., Edwards C.R.: “Relationschip between plasma testosterone and dihydrotestosterone concentrations and male facial hair growth” Br J Dermatol 1982; 107: 559.

Hamilton J.: “Male hormone stimulation is a prerequisite and an incitant in common baldness” American J of Anatomy 1942; 71 :451.

Halprin K.M., Ohkawara A.: “Glucose and glicogen metabolismin the human epidermis” J Invest Derm 1966; 46: 43.

Kossard S.: “Postmenopausal frontal fibrosing alopecia: Scarring alopecia in a pattern distribution” Arch Dermatol 1994; 130: 770 – 774.

Sauk J.J., Wite J.G., Witkop C.J.: “Influence of prostaglandins E1, E2, and arachidonate on melanosomes in melanocites and keratinocites of anagen hair bulbs in vitro” J Invest Dermatol 1975; 64: 332.

Schweikert H.U.: “Aromatization of androstenedione” J Clin Endocr Metab 1975; 3: 411 – 417.

Schweikert H.U., Wilson J.D.: “Regulation of human hair growth by steroid hormones: I. testosterone metabolism in isolated hairs” J Clin Endocrinol Metab 1974; 38: 811.

Schweikert H.U., Wilson J.D.: “Regulation of human hair growth by steroid hormones: II. testosterone metabolism in isolated hairs” J Clin Endocrinol Metab1974; 39: 1012.

Villena A, Alcaraz M.V., Perez De Vargas I.: “DNA determination of human hair bulbs in normal and androgenetic alopecia” J Cutaneous Pathol 1994; 21/4: 339 – 342.

Wilson J.D., Walker J.D.: “The conversion of testosterone to 5 alfa androstan 17 beta-ol-3-one (dihydrotestosterone) by skin slice of man” J Clin Invest1969; 48: 371.

 

Alopecia frontoparietale

Dalla alopecia androgenetica vera deve essere distinta l’alopecia frontoparietale maschile fisiologica.
Per capire cosa è l’alopecia frontoparietale è importante considerare come progredisce la perdita di capelli nell’uomo e nella donna.
Nell’uomo si ha dapprima un innalzamento della linea frontale dei capelli accompagnato da diradamento del vertice, poi un diradamento alle tempie che dà al taglio dei capelli la caratteristica forma maschile a M.
Fin qui la caduta di capelli maschile può essere considerata fisiologica e non obbligatoriamente un preludio alla calvizie, preferiamo pertanto parlare di “alopecia frontoparietale maschile fisiologica”.
La considerazione che ci sono uomini stempiati ma non calvi e uomini calvi ma non stempiati, e l’osservazione che gli inibitori della 5-alfa-reduttasi hanno scarso effetto nel ridurre la velocità di progressione della alopecia frontoparietale fa supporre che quest’ultima sia indotta dal testosterone mentre la calvizie (vera) dal suo metabolita diidrotestosterone.
Nella calvizie maschile il vertice lentamente si svuota e l’alopecia progressivamente confluisce con le zone calve frontoparietali, lasciando dapprima un’isola di risparmio al di sopra della fronte, per arrivare infine alla “calvizie a corona”.
A questo punto, in genere, il defluvio si stabilizza con risparmio delle zone temporo occipitali ed il processo si arresta.

 

 

Che la caduta dei capelli in zona frontoparietale e la regressione della linea frontale (la cosiddetta stempiatura) siano dovute ad azione diretta del testosterone, a differenza della alopecia androgenetica vera che interessa il vertice e che è dovuta alla azione del diidrotestosterone, è dimostrato da alcune cosiderazioni di ordine clinico:

1) Tutti gli uomini sono, di norma, stempiati (per effetto del testosterone).
2) Non tutti gli uomini sono calvi (la calvizie vera, del vertice, è ereditaria e dovuta al diidrotestosterone; la presenza del testosterone non basta a provocare la calvizie).
3) Le donne calve (per effetto del diidrotestosterone) non sono, di norma, stempiate (la presenza del DHT provoca loro la calvizie ma non la stempiatura).
4) Quando una donna ha un tumore testosterone secernente si stempia (la presenza del testosterone è sufficiente a provocare la stempiatura) ma non obbligatoriamente diventa calva (la calvizie vera, del vertice, è ereditaria e dovuta al diidrotestosterone, la presenza del testosterone non basta).

 

Riferimenti:

Marliani A.: “La calvizie comune” SIMCRE, Firenze, 1986.

Marliani A. et al: “I Capelli” Firenze, Etruria Medica, 1989.

Marliani A.: “TRICOLOGIA” – diagnostica e terapia – Firenze, TricoItalia 1996.

Aspetti clinici della alopecia androgenetica

L’alopecia androgenetica si presenta clinicamente diversa nei due sessi.
La progressione della alopecia è comunque lenta e, se non complicata da altre condizioni che ne aggravino il decorso, segue degli schemi obbligati e diversi nei due sessi.

 

Evoluzione negli uomini
a cura di Paolo Gigli

Negli uomini la caduta dei capelli inizia dopo la pubertà quando i livelli sierici degli androgeni salgono sopra i valori prepuberi. Il primo cambiamento consiste, di norma, in una recessione frontale biparietale presente nel 96% dei maschi caucasici sessualmente maturi, anche in coloro nei quali la caduta di capelli non è destinata a progredire (alopecia frontoparietale maschile fisiologica).
La recessione frontoparietale, quindi, può dipendere da meccanismi differenti da quelli della tipica calvizie del vertice. La classica “androgenetica” comincia verso i 17 – 18 anni; la caduta è più o meno costante, di norma mai elevata quantitativamente e presenta saltuarie, brevi poussées durante le quali ogni giorno cadono alcune centinaia di capelli. Il problema del defluvio androgenetico in telogen non deriva però dal numero di capelli che cadono ma dal fatto che molti di questi sono progressivamente sostituiti da elementi più corti, sottili, meno profondi, miniaturizzati, che sono il preludio alla scomparsa definitiva del capello stesso.
James Hamilton, negli anni 50, classificò i tipi di calvizie basandosi sul grado di recessione frontoparietale e frontale e sul diradamento del vertice.
O’Tar Norwood, più di 25 anni dopo, perfezionò e completò questa “classificazione per illustrazioni” dell’alopecia androgenetica.

 

 
Benché la densità dei capelli tenda a diminuire con l’età secondo uno schema noto è difficile predire quale grado di alopecia assumerà alla fine un giovane che presenta una iniziale androgenetica. In generale, nei soggetti che cominciano a perdere capelli prima dei 20 anni l’alopecia progredirà maggiormente (androgenetica ad evoluzione rapida). In alcuni maschi la caduta dei capelli può insorgere anche tardivamente (androgenetica ad evoluzione lenta) al termine della terza o durante la quarta decade di vita. Inoltre si possono verificare aspetti differenti dovuti alla razza ed al tipo di diradamento. Si è notato come negli orientali e nei nativi americani sia spesso conservata l’attaccatura frontale, vi sia un inizio posteriore ed una minore estensione della calvizie. Anche i maschi afroamericani hanno una minore incidenza ed estensione della calvizie, con una minore frequenza di alopecia frontoparietale rispetto ai caucasici.
Secondo Hamilton (1951) si possono distinguere 5 stadi:
stadio I: arretramento simmetrico frontoparietale con eventuale e successivo arretramento della linea frontale; non rappresenta, come già detto, un preludio obbligatorio alla calvizie;
stadio II: accentuazione dello stadio I con leggero arretramento della linea frontale e diradamento del vertice;
stadio III: le due zone alopeciche, anteriore e posteriore, tendono a confluire e persiste solo una stretta striscia di capelli;
stadio IV: alopecia definitiva frontoparietale e del vertice con permanenza di una alta “corona” di capelli nella zona temporo-occipitale;
stadio V: come il IV ma con “corona” residua di ridotte dimensioni.

 

 

Norwood ha modificato (1975) la classificazione di Hamilton, proponendo una “scala” di 7 stadi, alcuni dei quali ulteriormente frazionati in modo da ottenere in tutto 12 possibilità:
stadio I: corrisponde al soggetto normale;
stadio II: corrisponde al I di Hamilton con solo arretramento frontoparietale;
stadio IIa: come il II con associato arretramento della linea frontale;
stadio III: corrisponde sempre al I di Hamilton ma con arretramento frontoparietale più accentuato;
stadio IIIa: come il III con associato arretramento della linea frontale;
stadio III vertex: al III o al IIIa si associa diradamento della zona del vertice (corrisponde più o meno al II di Hamilton);
stadio IV: rimane una larga striscia di capelli superstiti fra le zone alopeciche anteriore e posteriore (cioè uno stadio III di Hamilton poco accentuato);
stadio IVa: notevole arretramento della linea di attaccatura anteriore che arriva grosso modo alla linea virtuale che congiunge la sommità delle due orecchie; la presenza di diradamento del vertice non è obbligatoria ma in ogni caso è assente la striscia di capelli superstiti;
stadio V: come il IV più accentuato (corrisponde al III di Hamilton);
stadio Va: come il IVa più accentuato (corrisponde al IV di Hamilton poco accentuato);
stadio VI: corrisponde al IV di Hamilton;
stadio VII: corrisponde al V di Hamilton.

 

 

In pratica con questa scala, comunemente usata, si può cominciare a parlare di calvizie solo dagli stadi IIa e IIIa perché l’I, il II e il III, pur presenti in molti uomini, non necessariamente progrediscono nel tempo.

 

La regola degli angoli frontoparietali
A cura di Marino Salin

Pur tenendo distinta l’alopecia frontoparietale dalla alopecia androgenetica vera, quest’ultima inizia sempre e comunque con arretramento simmetrico fronto-parietale.

 

 

 

In rapporto all’età, l’apertura degli angoli di alopecia frontoparietale (stempiatura) è direttamente proporzionale alla velocità e la profondità proporzionale alla gravità della futura evoluzione androgenetica.

Valutando in un ragazzo giovane questi due parametri (apertura e profondità) insieme alla storia familiare si può prevedere se ed in quanto tempo il nostro giovane paziente diventerà calvo e potremo decidere l’aggressività dell’intervento terapeutico.

Nel maschio distinguiamo una calvizie ad evoluzione rapida ed una calvizie ad evoluzione lenta.
La calvizie ad evoluzione rapida (che può portare agli stadi VI – VII) inizia in genere, verso i 17 – 18 anni, si concretizza verso i 19 – 20 (il ragazzo tende ad incolpare di questo il servizio militare, il cappello, il casco della motocicletta ecc), nei casi tipici e gravi già a 22 – 23 anni si raggiungono gli stadi V – VI di Norwood ed è completamente evoluta verso i 28 – 30 anni. Questi soggetti presentano precocemente angoli di alopecia frontoparietale profondi e molto aperti.
La calvizie ad evoluzione lenta inizia verso i 27 – 35 anni in soggetti che già mostrano uno stadio II o IIa di Norwood e progredisce lentamente per decenni, senza superare in genere lo stadio III vertex (nel 10 – 15% dei casi si arriva al IV o al V, sempre secondo la scala di Norwood). Questi soggetti presentano angoli di alopecia frontoparietale profondi ma poco aperti.

Evoluzione nelle donne
a cura di Daniele Campo

Nelle donne l’alopecia androgenetica si presenta in genere tra i trenta ed i quarant’anni (rispetto ai venti-trenta anni degli uomini). I problemi dei capelli possono cominciare iniziare in coincidenza di un cambiamento ormonale come l’assunzione o la sospensione di un contraccettivo, nel post parto, in periodo perimenopausale o postmenopausale oppure in conseguenza di una sensibile variazione ponderale. La recessione frontoparietale avviene comunque al momento della maturazione sessuale nell’80% delle donne (come nella maggior parte degli uomini) e spesso in concomitanza con l’assunzione di un estroprogestinico orale (che può non essere estraneo a questo) ed è generalmente molto meno evidente di quella maschile. La presenza di una recessione frontoparietale profonda è però probabilmente correlata con una maggiore produzione testosterone piuttosto che con l’accentuata conversione di questo in diidrotestosterone. In entrambi i sessi l’area a rischio è l’intera parte superiore del cuoio capelluto ma nelle donne, a differenza dei maschi, si ha generalmente una diffusa perdita di densità di tutta la capigliatura, anche se più evidente nella zona del vertice. Si determina così una diminuzione ovalare della densità dei capelli nell’area centrale del cuoio capelluto dietro la frangia frontale conservata. Questo conservarsi dell’attaccatura frontale è un’altra differenza tipica tra l’alopecia androgenetica femminile e maschile.

Erich Ludwig divise l’alopecia androgenetica femminile in tre stadi basati sulla densità dei capelli (1977).

 

 

 
Le donne del primo gruppo costituiscono la grande maggioranza e la perdita di capelli può essere avvertita solo paragonando la densità sulla sommità del cuoio capelluto con quella dell’occipite.
Il secondo gruppo raggiunge un diradamento maggiore e meno mascherabile.
Le donne del terzo gruppo sono più rare e, come quelle che in periodo premenopausale sviluppano una alopecia a pattern maschile con profonda recessione frontale, richiedono un accertamento endocrinologico per un potenziale stato androgeno patologico. Anche nello stadio III di Ludwig tuttavia, a differenza del maschio, l’area non è mai completamente calva e persistono molti capelli “normali” insieme ai miniaturizzati.
Sulzberger, Witten e Kopf per primi riportarono alcune importanti osservazioni cliniche: nelle donne con “alopecia diffusa” i capelli sono diventati più sottili, la capigliatura meno densa e talvolta più untuosa. Soggettivamente i capelli sono meno trattabili cosmeticamente. Altri sintomi riferiti dalle pazienti sono: “fragilità, formicolio, sensazione di pelle d’oca, bruciore, prurito ed una spiacevole ipersensibilità del cuoio capelluto”.
L’incidenza dell’alopecia androgenetica nelle donne è stata valutata tra l’8 ed il 25%, ma questi calcoli possono aver escluso i soggetti con diradamento leggero e facilmente camuffabile. Nelle donne, una diminuzione della densità di capelli diventa spesso visibile dopo la menopausa e può essere associata ad un’ulteriore recessione biparietale. Non è oggi chiaro se questa perdita di capelli postmenopausale sia dovuta all’alopecia androgenetica. Sembrerebbe collegata ai cambiamenti ormonali causati dall’anovulazione e dall’insufficiente sintesi di estrogeni e/o progesterone. Anche il fatto che la ghiandola surrenale vada incontro a dei cambiamenti nella produzione androgena delle donne dopo i cinquanta anni può avere un ruolo in questa perdita di capelli. Resta da comprendere con esattezza come tutti questi dati siano in connessione.

Riferimenti

Olsen Mc Growth-Hill: “Disorders on Hair Growth” 1993.

Hamilton JB: “Male hormone stimulating is prerequisite and an incitant in common baldness” Am J Anat, 1942.

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Norwood O.T.: “Male pattern baldness: classification and incidence” South Med. J. 1975; 68: 1359.

 

 

Ma … esiste davvero l’alopecia androgenetica femminile?

L’alopecia androgenetica è il risultato di un processo combinato androgeno-dipendente e di una trasmissione genetica.
É ormai comunemente accettato che l’alopecia androgenetica maschile è associata ad un aumento dell’attività della 5-alfa-reduttasi, con incremento locale della produzione di diidrotestosterone, oppure ad una maggiore sensibilità locale all’azione del DHT. Questo è stato dimostrato principalmente, se non esclusivamente, negli uomini e poi, riteniamo impropriamente, esteso alle donne.

 

 
L’incremento dell’attività 5-alfa-reduttasica o della sensibilità locale al DHT spiega la ben nota efficacia degli inibitori della 5-alfa-reduttasi.
Il meccanismo attraverso il quale dall’aumento del diidrotestosterone locale si arriva alla miniaturizzazione e poi alla perdita dei capelli non è affatto chiarito. Personalmente riteniamo che la chiave per comprendere il processo di miniaturizzazione sia nella produzione locale di ormoni durante il catagen.
Comunque, se si considera il processo di calvizie come androgeno dipendente, l’alopecia androgenetica deve essere limitata alle sole aree recettrici degli androgeni. Nel cuoio capelluto questi recettori sono stati individuati solo nell’area frontale e nel vertice, e non nell’area temporale ed occipitale. In effetti negli uomini è così e l’alopecia androgenetica si presenta solo in queste zone, mentre nelle donne la caduta dei capelli è raramente localizzata a queste sole aree, anche quando con l’avanzare dell’età vi sono ampie zone calve. Nelle donne l’alopecia è, di solito, diffusa anche alle zone non androgeno dipendenti. Inoltre i livelli ormonali degli androgeni nella donna sana sono sempre molto più bassi di quelli presenti nel maschio. Anche il maschio in terapia con finasteride ha livelli di DHT circa 10 volte superiori a quelli della donna con alopecia, il che la fa malamente definire come “androgenetica”.
In sostanza gli inibitori della 5-alfa-reduttasi appaiono inefficaci nelle donne.
Dosi farmaceutiche di estrogeni (gravidanza, contraccezione) hanno spesso un effetto benefico su molti casi di alopecia probabilmente attraverso meccanismi non anti-androgeni. Dosi farmacologiche di estrogeni, di solito associate ad agenti antiandrogeni simili al progesterone, vengono ampiamente usati, nella alopecia femminile, con buoni risultati che tuttavia non sono stati provati da trial clinici. È importante anche precisare che la papilla dermica ha un’aromatasi, specificamente nell’area occipitale, la cui funzione non è stata ancora ben definita nell’ambito dell’alopecia femminile.
Nelle donne, fatta eccezione per qualche raro caso di anomala produzione ormonale surrenalica o ovarica per difetto enzimatico o per tumore secernente, l’alopecia appare molto diversa da quella maschile ed i meccanismi appaiono differenti ed, anche se non ancora del tutto chiariti, quasi sempre assimilabili a quelli del telogen effluvio cronico o ad una situazione da carenza locale di estrone.
I casi di quelle ragazze con capelli fini e diradati su tutto il cuoio capelluto (ma più sul vertice e nella zona frontale) con la madre (spesso) nelle stesse condizioni ma con mestruo e fertilità normale, senza eccesso di androgeni circolanti ed in cui non è possibile reperire chiari elementi clinico laboratoristici che ci facciano deporre per un telogen effluvio ci fanno pensare a una resistenza periferica familiare del follicolo alla azione degli estrogeni (deficit di 17 steroido ossidoriduttasi, aromatasi, 3 alfa riduttasi). Sono cioè alopecie carenziali!

 

 

Tutto questo ha risvolti terapeutici fondamentali:
– gli inibitori della 5-alfa riduttasi sono inefficaci nelle donne;
– una terapia topica con estrone o 17 alfa estradiolo può risultare efficace in molti casi;
– se invece l’alopecia della donna interessa realmente e solo il vertice con la “chierica maschile” ed ancor più la zona frontoparietale con chiara “stempiatura” a pattern maschile si dovrà sospettare una fonte di androgeni e si dovranno effettuare le seguenti indagini:

Testosterone
17 OH progesterone
Ecografia addominale e pelvica
Non basta la presenza di un comune “ovaio micropolicistico” (che non è una malattia!) a provocare un’androgenetica femminile a pattern maschile ma occorre qualcosa di ben più grave come un tumore ovarico o surrenalico secernete androgeni o un deficit enzimatico surrenalico come quello di 21 idrossilasi.

 

Riferimenti

Amy McMichael: “le cause più comuni della caduta dei capelli nelle donne e l’importanza di una diagnosi precoce nel trattamento” American Academy of Dermatology 57° meeting annuale, New Orleans, 2002.

Price V.H., Roberts J.L., Hordinsky M., Olsen E.A., Savin R., Bergfeld W., Fiedler V., Lucky A., Whiting D.A., Pappas F., Culbertson J., Kotey P., Meehan A., Waldstreicher J.: “Mancanza di efficacia della finasteride nelle donne affette da alopecia androgenetica in post-menopausa”

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Simpson N.: “Classificazione e trattamento delle alopecia” in: “Dermatology: Clinical Update” Upjohn, 1986.

 

 

Il controllo del ciclo del capello

Il ciclo del capello è necessario per impedire che i capelli ed i peli crescano indefinitamente cioè per impedire che un individuo di 50 anni abbia i capelli lunghi 6 – 7 metri (in natura il taglio dei capelli non è previsto).
Il ciclo è controllato dagli ormoni steroidi sessuali: non dagli ormoni circolati ma da quelli prodotti in loco dal follicolo stesso. Rimandiamo ancora al capitolo “FISIOPATOLOGIA ENDOCRINO-METABOLICA DEL CAPELLO E DEL PELO”.
Per mantenere l’anagen e le sintesi proteiche il follicolo ha bisogno di energia sotto forma di ATP. Questa energia è fornita dalla glicolisi che poi continua nel ciclo di Krebs. La glicolisi ha un interruttore: l’enzima adenilciclasi. Bloccando l’adenilciclasi si ferma la glicolisi. Fermando la glicolisi si spenge l’anagen. Il diidrotestosterone riduce l’attività della adenilciclasi. L’estrone incrementa l’attività della adenilciclasi. Perché il follicolo arrivi al catagen (e poi al telogen) è necessaria la 5-alfa-riduzione. La 5-alfa-riduzione consuma NADPH ossia è NADPH dipendente. Nello shunt esosomonofosfatico, via metabolica parallela e collaterale alla glicolisi, si formano il NADPH per la 5-alfa-reduttasi, cioè per trasformare il testosterone in diidrotestosterone. In altre parole: gli idrogenioni per la 5-alfa-riduzione si formano come NADPH nello shunt esosomonofosfatico, via alternativa e parallela alla glicolisi, anch’essa innescata dalla adenilciclasi ed anch’essa bloccata quando è ferma la glicolisi.
A partire dalla fine dell’anagen la glicolisi è bloccatta come pure lo shunt esosomonofosfatico, il NADPH non è più prodotto, la 5-alfa-reduttasi è bloccata e tutte le vie metaboliche sono deviate verso l’aromatizzazione. L’estrone abbondantemente prodotto durante il catagen riattiva l’adenilciclasi, la glicolisi riparte ed il ciclo ricomincia.
Perchè l’anagen della donna è più lungo di quello del maschio? Nel maschio la via metabolica più facile è quella che da testosterone porta a diidrotestosterone. Nella donna la via metabolica più facile porta ad estrone. Così l’anagen del maschio dura 3 anni e quello della donna 6 anni e più.
Ma anagen più corto significa ciclo più veloce, non significa involuzione del follicolo né miniaturizzazione del capello! Anagen più corto non significa calvizie. Quale è allora la causa della alopecia androgenetica? La risposta è nel catagen!

 

Riferimenti

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Fisiologia del catagen

Mentre solo pochi anni fa ritenevamo che la fase catagen fosse solo un momento di passaggio fra l’anagen ed il telogen, oggi siamo convinti che proprio il catagen sia la fase più delicata di tutto il ciclo follicolare e che la qualità di ogni anagen dipenda, in larga misura, dalla regolarità e dalla validità della fase catagen che lo precede.
Rimandiamo anche al capitolo: “Il ciclo ideale del capello”.
Il Catagen ha inizio con l’arresto mitotico delle cellule della matrice facilmente evidenziabile al microscopio in luce polarizzata per la completa cheratinizzazione del bulbo che appare luminoso (catagen I).

 

 

Quando inizia il catagen la matrice, comunemente intesa, degenera. Il bulbo cheratinizzato rimane unito alla papilla mediante una specie di “sacco” formato dalla guaina epiteliale esterna che contiene le ultime cellule prodotte dalla attività mitotica come una colonna, sempre più lunga, di cellule epiteliali ed il follicolo assume un caratteristico aspetto a “sacco di noci svuotato” (catagen II).
Questo capello, con la papilla ed il suo sacco di cellule epiteliali, è in lento movimento di risalita verso l’istmo che deve raggiungere percorrendo (se il capello è profondo) anche 6000 / 7000 micron non più alla velocità della crescita del capello (400 micron al giorno 10 mm al mese) ma a quella, assai più lenta, del ricambio dell’epidermide (65 micron al giorno 2 mm al mese) impiegando quindi circa 90 giorni.

 

 

Il sacco si deconnette infine dalla papilla, che non può più seguirlo, giunge all’istmo (catagen III) e si attivano le cellule staminali del bulge.

Queste ultime, in rapida mitosi (anagen I), con un processo molto simile a quello che si osserva nella formazione embrionale del pelo primitivo, migrano di nuovo verso il basso fino a ritrovare la papilla (anagen II) e formano la nuova matrice per il nuovo anagen (anagen III).

Durante il catagen si assiste progressivamente alla scomparsa delle guaine epiteliali proprie del follicolo; la scomparsa delle guaine segna il passaggio del capello alla fase telogen mentre il follicolo talvolta è già in anagen IV.

 

 

Durante il catagen, se l’attività mitotica della matrice è cessata, l’attività metabolica delle cellule del sacco è addirittura esaltata per preparare il follicolo al nuovo anagen.

Il catagen è un periodo “delicato”. Quanto più breve è l’anagen e più veloce è il ciclo, più spesso il follicolo dovrà affrontare un catagen. La fase catagen ha inizio con la fine dell’anagen, nel momento in cui per blocco della glicolisi cessano le mitosi delle cellule della matrice. Le cellule della matrice, raccolte in un sacco al disotto del bulbo cheratinizzato, vanno incontro ad un tipico processo di “apoptosi” che fa di loro qualcosa di molto simile, funzionalmente ed istologicamente, ad una gliandola endocrina a secrezione paracrina.
Durante il catagen la 5-alfa-reduttasi e la glicolisi sono fisiologicamente bloccate. La 5-alfa reduttasi è bloccata perché la fonte di idrogenioni, il NADPH, si forma nello shunt degli esosomonofosfati che è attivo solo durante l’anagen. Il metabolismo del follicolo in catagen è quindi deviato verso l’aromatizzazione.

 

 
Durante il catagen le cellule del sacco producono estrone, cortisone e glicogeno. Questi tre elementi sono indispensabili per la qualità dell’anagen successivo. L’estrone si forma per aromatizzazione dai precursori: testosterone, androstenedione, estradiolo. Il cortisone è metabolizzato dal cortisolo. Il glicogeno si forma dal glucosio e viene accumulato nella guaina epiteliale esterna.
Quale è allora la causa della miniaturizzazione androgenetica? L’attivazione del bulge avviene alla fine del catagen quando le cellule staminali del bulge sono attivate dall’ estrone. L’estrone attiva l’adenilciclasi, quindi la glicolisi, quindi (forse con la mediazione di un fattore di crescita) le mitosi delle cellule del bulge. Queste cellule in mitosi migrano in basso verso la zona dove si riformerà la nuova matrice e durante la loro migrazione hanno come sola fonte energetica il glicogeno accumulato nella guaina esterna durante il catagen del ciclo precedente. L’utilizzo del glicogeno della guaina è condizionato dalla presenza di cortisone. Una carenza di estrone, cortisone o glicogeno durante il catagen si traduce in una migrazione incompleta, in un anagen meno profondo cioè miniaturizzato. Un piccolo errore metabolico durante il catagen si traduce in miniaturizzazione dell’anagen successivo e un capello maschile, con ciclo veloce ed anagen breve, che deve affrontare frequenti catagen, più facilmente andrà incontro ad errori e quindi a miniaturizzazione.

 

 
Il grado di displasia di ogni nuovo anagen appare in larga parte determinato dalla qualità metabolica del catagen che lo precede:
– ad una carenza di estrone conseguirà una attivazione insufficiente del bulge,
– ad una carenza di cortisone conseguirà una attivazione insufficiente della adenilciclasi con scarso metabolismo del glucosio e difficoltoso utilizzo del glicogeno,
– durante la discesa mitotica verso l’ipoderma la sola fonte di energia metabolica per le cellule in anagen II è data dal glicogeno accumulato nella guaina epiteliale esterna; se questo è insufficiente, obbligherà ad un anagen meno profondo, cioè più involuto, con risalita della papilla dermica.

 

Riferimenti:

Bonne C., Raynaud J.P.: “Inhibition of 5 alfa reductase activity of rat prostate by estradiol derivates” Bioch 1973; 55: 227.

Jeanmougin M.: “Patologia dei capelli e del cuoio capelluto” Italiana Cedrim, Milano, 1991.

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Salerno R., Maltoni G.: “Steroidi e Cancro” Giusti G., Serio M. Eds “Endocrinologia” USES Firenze, 1988: 1473 – 77.

Serri F.: “Trattato di dermatologia” Piccin, Padova, 1986.

 

Eziologia della alopecia androgenetica
a cura di Daniele Campo

L’alopecia androgenetica riconosce un’eziologia multigenica e multifattoriale; questo indica un meccanismo ereditario che riguarda un mosaico di geni ma che dipende anche da altri fattori (incidenze) che possono avere un ruolo concausale: variazioni del peso, ipotiroidismo, stati di stress, disturbi dell’alimentazione ecc.
Il termine Alopecia Androgenetica è stato coniato da Ludwig nel 1962 ed indica i due maggiori fattori patogenetici della malattia, vale a dire gli ormoni androgeni e l’ereditarietà.
L’alopecia androgenetica è indotta dall’azione degli ormoni androgeni su soggetti geneticamente predisposti.
Tale condizione si trasmette con caratteristiche di poligeneticità ed interessa uomini e donne. L’estrema variabilità della penetranza provoca tutta una serie di fenotipi che vanno da forme minime, consistenti in un maggior arretramento della linea dell’attaccatura frontale, fino a forme severe come un’alopecia completa della zona centrale del cuoio capelluto.
Quello che verosimilmente si trasmette è il corredo enzimatico follicolare interessato alla captazione ed alla conversione degli androgeni, più precisamente, per quelle che sono le nostre conoscenze attuali, le due forme isoenzimatiche della 5-alfa-reduttasi (tipo 1 e tipo 2), la P450-aromatasi, le sei forme isoenzimatiche della 17-beta-HSD, i due isoenzimi della 3-alfa-HSD ed il recettore citosolico degli androgeni. Il passaggio metabolico più rilevante nella patogenesi dell’alopecia androgenetica è operato dalla 5-alfa-reduttasi, l’enzima che converte il testosterone in diidrotestosterone. Le differenti presentazioni cliniche dell’alopecia androgenetica nei modelli maschile e femminile possono essere spiegate con i differenti livelli dei recettori degli androgeni e degli enzimi convertitori degli androgeni presenti nelle diverse aree del cuoio capelluto in uomini e donne.
Studi degli anni 90 ci dicono che:
– uomini e donne hanno più alti livelli di 5-alfa-reduttasi nei follicoli del vertice piuttosto che in quelli occipitali, dove invece sono presenti più alti livelli di aromatasi;
– i recettori degli androgeni contenuti nei follicoli dei capelli delle donne sono approssimativamente il 40% in meno che negli uomini;
– la P450-aromatasi nei follicoli della zona frontale è sei volte più abbondante nelle donne;
– i follicoli frontali delle donne, rispetto a quelli degli uomini, contengono una quantità di 5-alfa-reduttasi tipo 1 e tipo 2, rispettivamente 3 e 3,5 volte minore (Sawaya, 1997).

 

Riferimenti

Marliani A. et al: “I Capelli” Firenze, Etruria Medica, 1989.

Marliani A.: “TRICOLOGIA” – diagnostica e terapia – Firenze, TricoItalia 1996.

Tosti A, Peluso A.M., Piraccini B.M.: “Le malattie dei capelli e del cuoio capelluto” BIBLIOTECNE Milano, 1996: 16.

 

Gli androgeni
A cura di Paolo Gigli

Gli androgeni sono gli ormoni più direttamente coinvolti nella patogenesi della calvizie. Già la semplice osservazione che gli eunuchi non diventano mai calvi (Hamilton) e che gli pseudoermafroditi da deficit della 5-alfa-reduttasi tipo 2 sviluppano dopo la pubertà solo un semplice arretramento della linea frontale (Imperato), può farci comprendere che per l’espressione dell’alopecia androgenetica è essenziale il testosterone (assente negli eunuchi) ed è necessaria la 5-alfa-reduttasi tipo 2 (assente negli pseudoermafroditi). Studi relativamente recenti tesi a dimostrare l’esistenza di una maggiore quantità di androgeni nel plasma dei soggetti calvi (Cipriani, 1983) non sono stati successivamente confermati. Riteniamo pertanto che per indurre la calvizie non occorra una quantità superiore alla norma di androgeni nel sangue ma che siano sufficienti le concentrazioni fisiologiche. Ci pare invece determinante l’attività degli enzimi necessari a convertire gli androgeni più deboli in androgeni più potenti a livello dell’unità pilo-sebacea, nonché l’affinità dei recettori degli androgeni. Nel maschio, l’androgeno quantitativamente più importante è il testosterone che viene prodotto dai testicoli a partire dalla puberatà. Il testosterone nel plasma è presente in forma libera nella percentuale fissa del 1% della sua quantità totale; per la restante quota è legato ad una globulina plasmatica: SHBG (Sex Hormon Binding Globulin). Il testosterone libero trova nel follicolo pilifero gli enzimi capaci di convertirlo nella forma localmente attiva: il diidrotestosterone. Nella donna l’androgeno più importante è l’androstenedione, prodotto dall’ovaio (70%) ed in misura minore dalle surreni (30%); questo è convertito in testosterone dalla 17-beta-idrossisteroidodeidrogenasi. Meno importante è il diidroepiandrosterone (DHEA) prodotto quasi esclusivamente dalle ghiandole surrenali (95%), ormone ad attività androgena piuttosto debole per il quale è possibile comunque, a livello periferico, un certo grado di interconversione capace di trasformarlo in altri androgeni più potenti.

 

 

 

Riferimenti

Hamilton J.B.: “Male hormone stimulation is a prerequisite and an incitant in common baldness” Am J Anat 1942; 71: 451.

Hamilton J.B.: “The role of testosterone secretions as indicated by the effect of castration in man and by studies of patological conditions and the short life-span associated with maleness” Recent Prog Horm Res 1948; 3: 257.

Hamilton J.B.: “Effect of castration in adolescent and young adult males upon further changes in the proportions of bare and hairy scalp” J Clin Endocrinol 1960; 20: 1309.

Imperato-Mc Ginley J., Guerrero L., Gautier T., et al: “Steroid 5 alfa reductase deficiency in man: an inherited form of male pseudohermaphroditism” Science 1974; 186: 1213 – 1215.

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Villena A, Alcaraz M.V., Perez De Vargas I.: “DNA determination of human hair bulbs in normal and androgenetic alopecia” J Cutaneous Pathol 1994; 21/4: 339 – 342.

 

 

La conversione degli androgeni
a cura di Daniele Campo

Sebbene il livello di DHT possa dipendere direttamente dall’attività della 5-alfa-reduttasi, questo è influenzato, evidentemente, anche dalla scorta di precursori androgeni e dal metabolismo terminale del DHT stesso. La pelle è un luogo attivo del metabolismo androgeno dove il testosterone, l’androstenedione (ed il deidroepiandrosterone) vengono largamente metabolizzati. In entrambi i sessi, la 17-beta-idrossisteroidodeidrogenasi (17-beta-HSD) assume importanza a causa della propria capacità di ridurre l’androstenedione, androgeno debole, a testosterone. La 17-beta-idrossisteroidodeidrogenasi (17-beta-HSD) è anche responsabile della ossidazione del testosterone ad androstenedione.
Hay e Hodgins dimostrarono come vi fossero differenze nei diversi tessuti sensibili agli androgeni nella direzione predominante dell’ossidoriduzione 17-beta ed ipotizzarono che queste fossero basate sulla concentrazione relativa dei coenzimi ossidati (NAD e NADP) e ridotti (NADH e NADPH) nei tessuti. Istochimicamente l’enzima 17-beta-HSD sembra essere localizzato principalmente nella guaina epiteliale esterna e nella papilla dei follicoli del capello. L’attività della 17-beta-HSD appare, inoltre, maggiore in anagen che in catagen – telogen ma sembra diminuire nel follicolo anagen con la progressione della calvizie.

 

 
Anche la 3-beta-idrossisteroidodeidrogenasi (3-beta-HSD) potrebbe avere una sua importanza determinando l’interconversione di deidroepiandrosterone in androstenedione. Sawaya, Honig, Garland e Hsia hanno trovato una maggiore attività della 3-beta-HSD citoplasmatica nelle ghiandole sebacee del cuoio capelluto affetto da calvizie.
Il testosterone può evitare la conversione in DHT se trasformato dalla 17-beta-idrossisteroidodeidrogenasi (17-beta-HSD) in androstenedione e poi dall’enzima aromatasi in estradiolo. Sawaya, Price e Harris hanno dimostrato che l’aromatasi è più abbondante nell’area occipitale, rispetto all’area frontale, nelle donne con alopecia androgenetica mentre è trascurabile negli uomini. Ciò può aiutare a spiegare le differenze fenotipiche dell’alopecia androgenetica tra uomini e donne.
La citocromo P450-aromatasi è un enzima in grado di convertire il testosterone in estrone. È chiaro che la presenza o la carenza di questo enzima nei diversi sessi, oppure nelle diverse aree del cuoio capelluto di uno stesso soggetto, può determinare aspetti diversi. Recenti acquisizioni scientifiche (Happle e Hoffmann) promosse da un gruppo di ricerca tedesco hanno evidenziato come il 17-alfa-estradiolo sia una sostanza in grado di favorire la conversione mediata dalla P450-aromatasi (Hoffman, Happle, 2002). Alcuni ricercatori hanno verificato che la formazione di 5-alfa- androstandiolo è più alta nell’area frontale affetta da calvizie rispetto a quella non colpita. Il dosaggio dell’androstandiolo glicuronide nel plasma è una misura più attendibile del dosaggio del DHT stesso in quanto proviene in larga parte dalla conversione periferica di testosterone o androstenedione in DHT.

Riferimenti:

Niiyama S, Happle R, Hoffmann R. – Influence of estrogens on the androgen metabolism in different subunits of human hair follicles. – Eur J Dermatol 2001 May-Jun; 11(3): 195 – 8

Hoffmann R, Niiyama S, Huth A, Kissling S, Happle R. – Department of Dermatology, Philipp University, Deutschhausstrasse 9, D-35033 Marburg, Germany. – “17alpha-estradiol induces aromatase activity in intact human anagen hair follicles ex vivo.” – Exp Dermatol 2002 Aug; 11(4): 376 – 80

Andrea Marliani – Tricologia: Diagnostica e Terapia – Terapie attuali ed emergenti 1996; 183 – 185

 

 

La 5-alfa-reduttasi
a cura di Daniele Campo

Si tratta di un sistema enzimatico che converte il testosterone in diidrotestosterone. La 5-alfa-reduttasi è presente in due forme isoenzimatiche: il tipo “high affinity” (o tipo 1) è un isoenzima composto di 259 aminoacidi, ha un pH ottimale tra 6 e 9 e rappresenta il “tipo cutaneo”; è localizzato principalmente nei sebociti ma è presente anche nei cheratinociti dell’epidermide e del follicolo e, in piccola parte, nella papilla dermica, nelle ghiandole sudoripare, nei fibroblasti della cute genitale e non genitale. La forma isoenzimatica “low affinity” (o tipo 2) è composta di 254 aminoacidi, ha un pH ottimale di circa 5,5 ed è localizzata principalmente nell’epididimo, nelle vescicole seminali, nella prostata e nella cute dei genitali del feto, nonché nella papilla, nella guaina epiteliale interna dei follicoli piliferi e nei fibroblasti della pelle dei genitali adulti. I geni che codificano le forme isoenzimatiche della 5-alfa-reduttasi tipo 1 e tipo 2 si trovano, rispettivamente, nei cromosomi 5p e 2p (Chen, 1996). Negli ultimi anni molti agenti steroidei (e non) sono stati sviluppati per interferire con l’attività della 5-alfa-reduttasi. La finasteride, che possiede un’alta affinità per la forma isoenzimatica di tipo 2, è stata il primo antagonista della 5-alfa-reduttasi entrato nella pratica clinica. L’uso della finasteride e di altri inibitori della 5-alfa-reduttasi nel campo tricologico è recente.

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Il recettore citolosolico degli androgeni

Il recettore citosolico (Androgen Receptor Protein) del diidrotestosterone (DHT), cioè la proteina vettrice che legandosi al DHT lo trasporta nel nucleo cellulare, esiste nel citosol cellulare sotto forma di tetramero e sotto forma di monomero.
Il tetramero non si lega all’ormone e non entra nel nucleo, è cioè inattivo. Attivo è il monomero che si lega al DHT e lo trasporta fino al DNA nucleare. Si è affermato che il rapporto monomero/tetramero è più alto nei follicoli del cuoio capelluto dei soggetti calvi (Sawaya,1988). E’ stata anche evidenziata la presenza di una catena enzimatica in grado di convertire reversibilmente il tetramero in monomero e la presenza di una proteina regolatrice, ad effetto inibitorio, per il legame dell’ormone col recettore citosolico.
Esiste un solo recettore per tutti gli androgeni che lega i vari ormoni steroidi in un ordine gerarchico di affinità: DHT > testosterone > estrogeno > progesterone.

 

 

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Anatomia patologica

L’alopecia androgenetica è di tipo non cicatriziale. Con il progressivo accorciamento dei cicli pilari, si assiste alla miniaturizzazione ed alla depigmentazione dei capelli fino alla loro trasformazione da peli terminali in vellus. I follicoli subiscono un processo di superficializzazione, cosicchè molti bulbi vengono a trovarsi nel derma medio o addirittura papillare. Sono inoltre presenti capelli con un fusto di diametro intermedio tra i 30 e 60 micron. La progressiva riduzione della durata della fase anagen ma non di quella telogen provoca un aumento della conta dei capelli in telogen. Un rapporto tra capelli terminali e vellus inferiore a 4 ad 1 è indicativo per uno stato di miniaturizzazione. I follicoli miniaturizzati, diversamente dai follicoli vellus, conservano frammenti del muscolo pilifero erettore (Pinkus, 1978). Nei follicoli colpiti da alopecia androgenetica si osserva, superficialmente, un modesto infiltrato linfoistiocitario perifollicolare nel 40% dei casi contro il 10% nei gruppi di controllo (Lattanand e Whiting, 1997). Solo occasionalmente questo infiltrato infiammatorio si estende a livello del tratto inferiore del follicolo. Si repertano anche mastcellule e perfino eosinofili. All’osservazione in videomicroscopia si osserva un alone eritematoso attorno al follicolo. Nell’alopecia androgenetica si evidenzia inoltre una degenerazione perivascolare del terzo inferiore della guaina connettivale a carico dei follicoli in anagen miniaturizzati. Al di sotto dei follicoli, in stato avanzato di miniaturizzazione, è presente un cordone fibroso residuo della guaina connettivale. I follicoli sono collegati al tessuto sottocutaneo da questi cordoni fibrosi (streamer). Secondo Kligman questo reperto è caratteristico dell’alopecia androgenetica. Lungo questi cordoni fibrosi è possibile osservare dei piccoli ammassi globulari che derivano dalla guaina connettivale dei follicoli in anagen dei cicli precedenti.
Questi sono i cosiddetti “corpi di Arao”, che segnano il livello progressivamente raggiunto ciclo dopo ciclo dal follicolo, ora miniaturizzato.

 

 

 

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